Etica e comunicazione. Presentazione del libro alla Sala Palestrina a Milano (30 ottobre 2013)
Presentazione del libro Etica e comunicazione
con testi (del 1991) di Carlo Maria Martini e Stefano Rolando
Lupetti editore, 2013
Sala della Comunità Palestrina,
Mercoledì 30 ottobre 2013, h. 21.00
Spunti di intervento di Stefano Rolando
- Ringrazio la Comunità Palestrina (che ho frequentato duranti gli anni del mio liceo, il Carducci, che sta qui accanto), il suo parroco don Natale Castelli e don Davide Milani che ha organizzato questa serata (in cui si presenterà anche un film sul cardinale Martini di Salvatore Nocita; ringrazio Donatella Negri per darmi ora la parola e mons. Erminio De Scalzi, abate di sant’Ambrogio e al tempo segretario del card. Martini, che farà tra poco il suo autorevole commento. Ringrazio tutti i presenti che hanno riempito questa pur spaziosa sala.
- Il libro – da cui farò brevi citazioni dello stesso cardinal Martini – si riferisce all’inizio degli anni ’90. Anni su cui pesa, nel bene e nel male, l’eredità dell’intenso e irrequieto decennio precedente. Sugli anni ’80 c’è chi parla di declino, chi di risveglio dell’orgoglio nazionale, chi comunque di grandi trasformazioni. Certo è un decennio che finisce con la caduta del muro di Berlino – un cambio radicale nello scenario internazionale – e che per l’Italia coincide con la chiusura della cosiddetta “prima Repubblica” (formalmente evaporata – con i partiti politici che la sorreggevano – nel biennio 1992-94).
- In quel decennio i media hanno avuto molto peso e forse anche maggior influenza rispetto a prima e tra di essi cresce di ruolo e di peso la televisione (internet arriverà a metà degli anni ’90). La centralità della tv però è segnata anche dalla fine del monopolio del servizio pubblico e dalla fine di un certo pedagogismo della Rai che, pur con rilevanti cambiamenti dopo il ’75, aveva ancora caratterizzato l’impianto dell’offerta televisiva negli anni ’70. Si va formando un sistema misto, con crescita delle televisioni commerciali, ma con caratteri piuttosto conflittuali. Il pluralismo di sistema significa anche pluralismo di interessi. E – pur con l’aspetto positivo di destare uno spirito aziendale e competitivo nella Rai (azienda in cui lavoravo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, pensando al tempo che la competizione non era affatto una catastrofe) – comincia a cambiare l’approccio culturale della televisione. La stessa parola “cultura” a poco a poco, per pressione gli inserzionisti pubblicitari, tenderà a cambiare nella più ambigua espressione “qualità”.
- Il dibattito pubblico centrale di quegli anni è dunque quello sulle regole e sugli interessi sottostanti. Io penso che Carlo Maria Martini – vescovo dal 1980 della città capitale dei media in Italia (ma non della Rai, con cui Milano ha sempre un po’ bisticciato; e viceversa) – ha cominciato a guardare a questo mondo all’interno della complessità del tema del “rappresentazione” di valori e disvalori e all’interno di una certa logica di funzionamento dei media stessi. Penso che – per la sua formazione e il suo alto compito – fosse meno appassionato al dibattito giuridico-economico sulle regole ma interessato piuttosto ad ampliare quel dibattito su altre “regole”, diciamo regole più sottili: quelle deontologiche, quelle riguardanti i contenuti, quelle riguardanti le responsabilità. Alla ricerca di una “logica” con cui agiscono più profondamente le comunicazioni di massa.
- E infatti il cardinale Martini dedica al tema la pastorali di un certo periodo, dando poi alle stampe le sue riflessioni (Effatà, Il lembo del mantello, che fecero rumore e fecero parlare i media). Mons. Busti (ora vescovo di Mantova e al tempo portavoce del cardinal Martini) fa una citazione dello stesso Martini nella prefazione al libro che qui presentiamo, che vorrei leggere – nella sua brevità – per chiarire una parte dell’approccio del cardinale:
La tesi fondamentale della mia lettera Effatà-Apriti è appunto la seguente: ci sono delle distorsioni nella comunicazione di massa e in quella pubblicitaria; però ci sono, perché sono distorte le comunicazioni famigliari, interpersonali, amicali, di gruppo. Risanando queste, possiamo sperare, gradualmente, di cogliere meglio il senso anche simbolico del comunicare e della comunicazione di massa”
- La crisi del pedagogismo della tv di Stato non può – né deve – produrre soluzioni autoritarie. E Martini, come altri operatori del sistema, pensa che si può aprire un dialogo sull’etica pubblica per ampliare appunto confini di discussioni che non possono restare solo attente agli interessi economici e politici della regolamentazione sui media. Facendo più appello alle persone – cittadini, professionisti, intellettuali – che al “sistema”. Tra l’altro l’apertura del nuovo decennio è caratterizzata da eventi esplosivi in materia di “etica pubblica” e proprio nella connessione tra pubblicità e istituzioni alcuni fatti precedono (nel campo della sanità, con arresti clamorosi) quella che poi, dopo il ’92, verrà chiamata, con brutta parola, Tangentopoli.
- La stessa pubblicità – nel sistema dei media (come Martini ricordava, citandola) – assume più potere e più influenza, sollecita modelli di vita e di consumo, incide sulla programmazione. Per questo i pubblicitari italiani (raccolti nella associazione ATP) prendono l’iniziativa di recuperare terreno in materia di reputazione promuovendo una conferenza con ospiti importanti (viene dalla Francia Jacques Sèguela, al tempo una star del settore, impegnato anche nella pubblicità politica) che si svolge in Assolombarda a Milano. E per parlare di “etica e comunicazione” – in quella città, in quel tempo e nel contesto descritto – i pubblicitari pensano importante avere in apertura Carlo Maria Martini. Non può essere il cardinale a cavare dai pasticci operatori implicati, ma (per le cose accennate) lui è interessato vivamente a dialogare con quel mondo e chiede pertanto un format – sia pure simbolico – che presupponga “dialogo”. Da qui lo spunto dei pubblicitari di invitare a tenere una relazione affiancata chi nell’ambito istituzionale aveva, al tempo, abituale interlocuzione con il mondo dell’informazione e della comunicazione. Dal 1985 svolgevo infatti a Palazzo Chigi il ruolo di direttore generale e capo del dipartimento con le competenze in quel settore.
- Mi fu fatto l’onore di una richiesta del testo scritto della relazione per tempo e ricevetti un messaggio di apprezzamento dal cardinale che concludeva dicendo che avevamo entrambi puntato alla conclusione nel nome di Max Weber, ovvero sull’etica della responsabilità. I due testi, come si può ben capire, non sono comparabili. Nella prolusione del card. Martini c’è un passaggio – al tempo stesso teorico e pragmatico – di un più ampio percorso a cui abbiamo fatto cenno già connesso a dialoghi con il mondo professionale (tra i giornalisti, Martini aveva organizzato un piccolo “cenacolo” di confronti a cui aveva invitato Indro Montanelli, Paolo Mieli e Gianni Locatelli) questa volta riferito ai pubblicitari. Nel mio contributo c’è un tentativo di immaginare approcci al tema diritti/etica se possibile senza retorica e senza cedere a una certa moda cercando riferimenti in materia di legalità, civismo e rapporto con il dibattito identitario. Questo libro raccoglie – grazie all’editore specializzato nel campo della comunicazione Fausto Lupetti, che è qui presente – i due testi, con note introduttive che comprendono persone allora in dialogo con Martini e con altri brani dei suoi testi di quegli anni sull’argomento. Un libro che segnala un segmento non secondario tra i tantissimi di serio approfondimento sui temi del nostro tempo che si colloca nella sterminata bibliografia prodotta dallo stesso cardinal Martini nella sua lunga azione pastorale e di ricerca.
- Dunque per Carlo Maria Martini non c’è imbarazzo nell’affrontare il tema dei contenuti nella comunicazione e nell’informazione e c’è uno scenario comune – tra domanda e offerta – definito dalla responsabilità. Ecco, concludendo il mio piccolo contributo, due citazioni del suo testo che toccano questi aspetti.
In materia di contenuti, Martini va presto “oltre i contenuti”, cioè appunto alla logica che li produce:
Occorre passare dal contenutistico anche implicito al formale, ad alcune logiche che sono, per esempio: la comunicazione non impegnata nei confronti della verità, ma preoccupata unicamente dell’opinione; la parola rivolta esclusivamente all’informazione e non alla comunicazione; la comunicazione intesa come strumento di potere, controllo, dominio, persuasione dominatrice e non di accoglienza dell’altro. Tutte realtà che sono nelle logiche della comunicazione e per questo il discernimento è ancora più difficile. Non è sufficiente dire: scartiamo il tal contento perché è scioccante e ne prendiamo uno più accettabile. Si tratta della maniera stessa con cui si muove il comunicare”.
- E infine sulla responsabilità:
L’idea di responsabilità mette in luce l’essenziale dimensione interpersonale o dialogale dell’esperienza etica. In essa si esprime la convinzione che la libertà umana è tenuta a rispondere delle proprie decisioni a qualcuno. Possiamo domandarci: a chi? Al committente, anzitutto, a colui con il quale ho rapporti di lavoro. Però la domanda sulla responsabilità va oltre. Devo rispondere a tutti coloro con cui sono legato da un rapporto di solidarietà e che, direttamente o indiretta mente, sono toccati dalle mie scelte e dalle mie azioni. In tal senso, la responsabilità ha una dimensione universale, nello spazio e nel tempo; si estende non solo ll’umanità del presente ma pure a quella del futuro, alle generazioni che verranno e le cui condizioni di vita, materiali e culturali, dipenderanno dai comportamenti posti oggi da noi.
Etica e comunicazione – testi di Carlo Maria Martini e Stefano Rolando – Note introduttive di Roberto Busti, Vincenzo Le Voci, Gianni Locatelli – Fausto Lupetti editore, 2013- pagg. 89, 10€