Elvira Sellerio (3 agosto 2010)
La scomparsa di Elvira Sellerio – “donna di grande finezza animata da forte passione civile”, ha ben sintetizzato il presidente Giorgio Napolitano – obbliga a qualche annotazione questo mio piccolo angolo di sito che registra da qualche tempo le sempre più frequenti occasioni di doloroso congedo personale da frammenti di vita che la vita delle persone tiene sempre in condizione di completarsi, di integrarsi, di mutare; mentre la loro morte un po’ li pietrifica, comunque li ripone nello scrigno nella memoria.
Era stata colpita da una “prolusione” che mi era toccato di fare appena arrivato a Palazzo Chigi, a 37 anni, sulla memoria di Luigi Capuana, “trascinato” alla società Dante Alighieri dal prof. Giuseppe Padellaro (storico direttore generale che mi aveva preceduto, padre di Antonio) e voleva che trasformassi quel testo (che neppure esisteva) nella prefazione alla riedizione delle Favole appunto del Capuana. Non considerai quel testo degno di una prefazione e ne facemmo una post-fazione che ancora è in quel magnifico libretto che contiene anche alcuni sapori della mia infanzia (che lì spiego). Ma ci fu tutta una più complessa vicenda di coincidenze, anche stupefacenti, che ho raccontato nel paragrafo Le favole del Capuana in Quarantotto (Bompiani 2008). Coincidenze che spiegano l’arcano della coincidenza nelle questioni di Sicilia e che spiegano i rapporti che a volte in modo speciale si creano tra le persone che ne sono in qualche modo portatrici. Un mio testo – dedicato al frammento di storia familiare siciliana (Sotto la palma di Villasmundo) – era finito due anni prima sul suo tavolo, con benevola lettura poi dello stesso Sciascia, ma con tempi di realizzazione troppo lunghi così che finì stampato altrove. E anche lì si crearono coincidenze. Che proseguirono nel quadro di rapporti con Vincenzo Consolo (che mi succeddette alla presidenza del Premio internazionale Unione Latina) a proposito del suo Retablo e dei rapporti con Fabrizio Clerici, cosa che anch’essa ho raccontato in Quarantotto parlando appunto di Clerici e di una meravigliosa storia personale che ha anche ispirato Le pietre volanti di Luigi Malerba. E coincidenze si erano soprattutto create nel 1982, quando – negli ultimi mesi della mia esperienza alla Rai, al tempo assistente di Sergio Zavoli che presiedeva l’azienda (ma che presiedeva quell’anno anche il Premio Campiello) – seguii la caparbia idea di Sergio di far vincere il Campiello ad un meraviglioso outsider, che era Gesualdo Bufalino con il suo capolavoro La diceria dell’untore. Vincere un premio – del genere, poi – sono tante piccole cose che non merita neppure di dire, ma la felicità (di lettore prima di tutto) che provocò in me quel successo, il cui merito essenziale fu nel rapporto tra Zavoli, Elvira Sellerio e la straordinaria personalità di Bufalino che da quel Premio divenne una voce autorevole della cultura italiana, fu grandissima e indelebile. Quando due anni fa arrivai, con mia figlia Amelia in un giro della Sicilia, alla Fondazione Bufalino a Comiso, rinnovai il piacere di vedere che una volta tanto la Sicilia non seppelliva le sue glorie ma cercava di tenere pulsante il messaggio. Inutile dire che – nella gestione dei Premi della Cultura della Presidenza del Consiglio – ci fu l’occasione, da me molto curata, del giusto riconoscimento a Elvira Sellerio. Che comunque – come ricorda Paolo Di Stefano oggi sul Corriere – “non fu succube di nessuno, ascoltava Sciascia ma spesso faceva di testa propria, pure a costo di litigarci”. Coincidenze e piccoli legami forti che passano attraverso corrispondenze anche impalpabili di senso, rendono i rapporti duraturi, anche se non alimentati dalla cronaca della vita. Cosa che un giorno – facendo ormai altra vita – con Elvira Sellerio rincontrata a Roma ci siamo detti. Ed è stata l’ultima.