Documento per workshop su misure di emergenza per riforma Rai (27 febbraio 2012)
Nell’ambito del corso di Politiche pubbliche per le comunicazioni, che il prof. Stefano Rolando svolge di ruolo all’Università IULM di Milano e di recente avviato nella nuova edizione ai primi di febbraio del 2012, per la preparazione dell’workshop previsto sul tema del dibattito in materia di riforma della Rai, dopo un articolo di stimolo dello stesso Stefano Rolando (già dirigente della Rai e già Capo del Dipartimento Informazione ed Editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri tuttora membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni) pubblicato dal quotidiano Finanza&Mercati il 3 gennaio 2012, è stato curato un breve testo con la essenziale collaborazione dell’ing. Luigi Mattucci (tra altri incarichi già direttore della Rai a Milano, poi vice direttore generale della Rai e poi presidente di RaiSat). Un testo elaborato nella logica di agire con interventi urgenti in materia. Soprattutto elaborato per presentare alla discussione un concreto numero di interventi possibili esaminati e verificati nel quadro di esperienze manageriali e nell’ascolto di operatori qualificati che hanno dato il loro contributo all’inventario critico. Lo workshop è fissato per lunedì 27 febbraio in un’aula congiunta a quella del MASPI-Master in Management della comunicazione sociale, politica e istituzionale dell’Università IULM.
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http://stefanorolando.it/index.php?option=com_content&view=article&id=968;riforma-rai-i-contributi-degli-studenti-al-seminario-e-brevi-conclusioni-3-marzo-2012&catid=35;cat-att-uni&Itemid=59
Elementi di intervento essenziali per creare
le condizioni di una riforma della Rai
20 febbraio 2012
Premesse
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Tutti dicono che bisogna rinnovare la Rai. Si parla di paralisi della governance, di costi fuori controllo, di troppa pubblicità, di influenze esterne. Vi è chi dice che tocca al Parlamento (ciò che è istituzionalmente vero). Ma se si accoglie l’estensione alla Rai delle condizioni emergenziali generali del Paese, è necessario fare alcune cose per superare l’impasse, partendo anche dalle dirette responsabilità dell’Azionista.
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In attesa di una nuova legge – e quindi di una nuova complessiva governance – si può e si deve intervenire urgentemente, almeno per riparare i difetti più gravi e cercare di risanare la struttura economico-organizzativa alla quale affidare i compiti che il Parlamento deciderà.
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Si potrebbe pensare, in presenza della legge attuale, a una costruzione del vertice secondo lo schema metodologico che è stato adottato per la formazione del Governo Monti. Una intesa generale sul D.G. (perno della gestione e del coordinamento), la costruzione di un CdA equilibrato e coerente, uno staff di competenti. Un quadro di gestione che affianchi, nel metodo e nella tensione agli obiettivi, l’esperienza del Governo in carica, parimenti correlato a volontà espresse dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, che svolga quindi compiti di ripristino e di rilancio portando l’Azienda in condizioni ricettive di una meditata riforma complessiva.
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Ogni intervento preliminare va compiuto nel convincimento che la Rai, tuttora, sia un’azienda che funziona. Essa ha un grande ed efficace apparato tecnico-produttivo. Ha una reputazione “nazionale” sostanzialmente forte anche sotto l’attacco dei concorrenti televisivi e i commenti giustamente interessati degli editori della carta stampata.
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Esempi. Con la vicenda della neve e del maltempo, la Rai ha funzionato. La celebrazione nazional-popolare dei 150 anni dell’unità d’Italia ha trovato la via della percezione generale dell’opinione pubblica solo con la serata di Roberto Benigni. La radio, lasciata in pace dalla politica, fa ascolti ed è stimata dagli italiani. I dieci canali tematici digitali costano poco, hanno una buona immagine da “pubblico servizio” e fanno più pubblico di quelli concorrenti. L’ organizzazione dell’archivio ha creato una memoria condivisa (per tutti) della nostra storia dagli anni ’60 ad oggi.
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Inoltre la Rai è una azienda che ha conservato l’imprinting delle strutture giornalistiche e di quelle della marina militare (da cui nasce il settore tecnico) ed è quindi una azienda facilmente finalizzabile. Cioè non è anarchica.
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E’ vero che la Rai è insidiata da lottizzazione, occupazione, mancanza di investimenti innovativi. E, di conseguenza, da modelli operativi pesanti e obsoleti. Sostanzialmente è caduta progressivamente nel controllo di un’ infornata di burocrati politicizzati (in parte provenienti dall’esterno, in parte auto-propostisi ai poteri politici di turno), molti dei quali rivelatisi inidonei, per mancanza di esperienza e formazione, ad immaginare strategie e gestire la operatività e quindi costretti alla ripetitività o al ricorso alla creatività esterna (che poi significa format acquistati).
36 anni dopo la riforma
La riforma della Rai interviene nel 1975 per risolvere l’insostenibilità di una gestione dell’azienda radiotelevisiva pubblica a diretto riporto del quadro di governo e a riporto politico sostanziale del partito allora di maggioranza.
Quella riforma punta:
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a creare forme di pluralismo interno,
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a costruire una governance aperta sotto il profilo politico anche al di là del quadro di governo,
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ad assicurare il ruolo del Parlamento nelle funzioni di controllo e garanzia,
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a promuovere un indirizzo verso il decentramento,
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all’ampliamento dell’offerta.
Nell’anno 1976 – cioè immediatamente dopo il varo di quella riforma – si apre uno scenario che vede svilupparsi un pluralismo di sistema (soggetti privati allora operanti in forma locale, poi in forma di sindacation, poi con carattere di impresa nazionale), cosa ben più ampia e complessa del pluralismo politico-culturale interno all’azienda.
Il potenziale trasformativo anche in senso aziendale di quella riforma trova dunque in parte condizione applicativa, in parte viene obbligato a interrogarsi sulla natura e le implicazioni di forme di concorrenza, già note nel mondo e diversamente risolte e dunque sul carattere in evoluzione della stessa natura del “servizio pubblico”.
Questa riflessione strategica – attorno a cui si sono spesi fiumi di inchiostro e immensi tempi di convegni – si assesta negli anni nella definizione di un assetto duopolistico – crescendo e affermandosi il ruolo delle reti nazionali dell’attuale gruppo Mediaset – che a lungo ha prima stabilizzato, poi frenato e alla fine anche raffreddato lo sviluppo di sistema complessivo delle comunicazioni in Italia:
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ritardando processi regolamentativi integrati,
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ritardando la relazione strutturale dei comparti,
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riducendo le capacità competitive nazionali,
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strumentalizzando a scopi auto-conservativi una parte importante delle risorse disponibili.
La stessa forma concorrenziale tra i due maggiori soggetti ha conosciuto anomalie, prima attraverso lo sviluppo di autolimitazione della competizione (duopolio) e infine attraverso il diretto trasferimento nel gruppo pubblico di professionisti provenienti dalla stessa Mediaset.
E così l’azienda Rai si è trovata più volte sottodimensionata rispetto alla capacità di disegnare il proprio sviluppo con padronanza netta delle leve organizzative e progettuali tese ad assicurare ruolo strategico pieno sia rispetto ai caratteri industriali che a quelli propri della natura di servizio pubblico, entrambi nel rispetto della concorrenza, acquisita come valore stesso della dinamica di crescita e di evoluzione della qualità aziendale.
I caratteri contradditori accennati in premessa sono oggi il quadro in chiaroscuro su cui intervenire. L’ipotesi è che una “riforma” – che mette in movimento tutti gli aspetti istituzionali in cui è collocato un soggetto che appartiene alla Costituzione materiale del Paese – debba essere preceduta da interventi realizzati attraverso un corretto rapporto tra Governo e Parlamento, inseribili nelle “misure necessarie” per agire su condizioni emergenziali dell’azienda, creando le condizioni e anticipando i tempi di una vera e propria riforma (governance, strategie editoriali e industriali). Riforma che dovrà maturare auspicabilmente in tempi adeguati anche alla scadenza dei patti di concessione dello Stato.
Il carattere di “servizio pubblico radiotelevisivo” è parte di un progetto strategico per l’identità e lo sviluppo del Paese.
Questa connotazione è parte dell’approccio dell’emergenza. Infatti:
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tiene conto dei fattori di forza e di potenzialità tecnico-produttiva tuttora esistenti;
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interviene per non disperdere ulteriormente il potenziale creativo del sistema editoriale interno dell’azienda;
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interviene in una logica di “rappresentazione” degli interessi generali del Paese;
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in una fase caratterizzata da primario bisogno di recupero di legittimazione internazionale;
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agisce nella visione della priorità del tema della coesione sociale e territoriale dell’Italia, utilizzando l’articolazione operativa e produttiva con adeguamenti necessari a corrispondere ad un servizio concreto a tale obiettivo;
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si misura con un deficit di internazionalizzazione che è parte di alcune criticità generali del sistema-paese;
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propone l’allentamento della presa diretta dei partiti politici sugli aspetti gestionali complessi dell’azienda, rispettando il quadro della democrazia rappresentativa in ordine alle funzioni essenziali.
In sintesi, le misure che servono
Un approccio limitato a “tagli” si rivelerebbe nefasto.
La manovra correttiva riguardante la Rai dovrebbe comprendere misure tra di loro integrate. Specificatamente:
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bisogna togliere pesi burocratici (dimensionati in circa 1000 persone);
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bisogna ri-definire le linee editoriali;
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bisogna trovare una struttura organizzativa funzionale;
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bisogna aggiornare i modelli produttivi;
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bisogna restituire autonomia alle strutture editoriali.
A questi profili sono dedicate le brevissime note di orientamento che seguono.
Pesi burocratici
La lottizzazione, l’occupazione, i controlli politici sono stati progressivamente realizzati attraverso la creazione, al centro, di una struttura di controllo burocratico funzionale a chi esprimeva a turno il potere.
C’è stata inoltre una ricorrente complicità tra tecnostruttura e politica, spesso a danno delle capacità e delle professionalità inventive interne.
Il maggior costo di questo modello è stato – in parte – compensato con il ricorso ai format e agli appalti esterni e l’utilizzazione di personale precario a basso costo (che tuttavia adesso va riassorbito).
Da questo processo si sono salvati il settore tecnico e quello produttivo, perché più specialistici, che però non sono stati rinnovati per cui mancano contemporaneamente di innovazione tecnologica e di piena occupazione. Seri problemi sono ricaduti, invece, sul settore giornalistico nel quale a fronte di 1300 “operativi “ esistono 350 professionisti addetti a funzioni dirigenziali di ogni tipo.
Linee editoriali
Oggi la Rai ha tre canali “generalisti” (ex-analogici) e 10/12 canali specialistici (satellitari/digitali).
Tra tre anni saranno potenzialmente tutti eguali e in più ci sarà la distribuzione via web .
Quale strategia editoriale?
La legge del 1976 aveva introdotto il concetto del pluralismo “politico- culturale “ come reazione al monopolio esercitato dal partito allora di maggioranza relativa.
Il pluralismo, come si è accennato, era poi degenerato in lottizzazione partitica ed era stato poi ulteriormente sfigurato dal duopolio pubblico-privato.
Oggi, l’abbondanza dei canali distributivi toglie cogenza al “pluralismo culturale “ mentre riporta in primo piano il compito “pubblico “ della Rai (servizio universale, sostegno ai fattori culturali, espressione delle culture e dei bisogni minoritari, diffusione della cultura italiana all’estero, sostegno alla produzione di audiovisivo nazionale, completezza, correttezza ed efficacia della funzione informativa ).
Quindi bastano un grande canale nazional-popolare e un canale di promozione e alternativa culturale non elitario.
I canali specialistici – a questo punto dodici – vanno bene come sono (costano pochi milioni ciascuno e hanno modelli produttivi leggeri. Bisogna dar loro un po’ più di soldi per aumentare la quota di produzione (passa di qui la collaborazione con le istituzioni culturali del Paese (teatri, musei, mostre d’arte, concerti, eccetera) e aggiungere un buon canale internazionale (rigenerando integralmente l’esperienza attuale di Rainews).
Resta il problema della informazione regionale (in senso lato). Qui è evidente la contraddizione tra notiziari e operatori regionali e lo stretto controllo centralistico cui sono sottoposti. Si potrebbe pensare, se ci fossero risorse appena adeguate, di stabilire per redazioni e sedi territoriali nuove intese con le Regioni contribuendo dal centro con servizi (esempio gli archivi) e una quota di canone.
Queste linee, comportanti anche misure molto rilevanti, possono essere nella prima fase oggetto di una progettazione esecutiva (opportunità/rischi e valutazione complessiva dei benefici) e forse anche con l’avvio di un negoziato perlustrativo a disposizione della fase successiva di più organica riforma.
Struttura funzionale
Non è più necessario, come nel 1975, organizzare l’azienda “di prodotto” per Reti e Testate rigorosamente separate, pur avendo a mente che l’identità della emittente è uno degli elementi di riconoscibilità della televisione.
Bisogna quindi trovare un compromesso tra unificazione delle funzioni più rilevanti (produzione e acquisto film, sport, notiziari nazionali) e differenziazione di quelle che caratterizzano e diversificano le linee editoriali (inchieste, approfondimenti, intrattenimento leggero , documentari, acquisto programmi culturali).
Forse per l’informazione si può fare una testata unica (aumentando la capacità di produrre informazione originale in Italia e all’estero), ma affidando le edizioni sui diversi canali a caporedattori sufficientemente autonomi (anche perché ci si rivolge a pubblici diversi a seconda dei canali e delle ore di programmazione).
E’ necessario ridurre drasticamente il ricorso ai format cioè alla creatività esterna, il cui contributo produttivo deve essere apprezzabile e quindi stimolabile ma in logiche diverse da quelle attuali.
Non si tratta di tornare all’autarchia ma bisogna mantenere all’interno dell’Azienda le radici della creatività (e come nell’industria, si tratta di puntare sull’innovazione di prodotto).
Anche in questo caso si tratta di agire con misure propedeutiche e analisi accurata di una progettazione riorganizzativa.
Modelli produttivi
Dicono tutti: produrre internamente costa di più.
Non è del tutto vero: i singoli fattori produttivi (stipendi degli esecutivi, funzionamento dei singoli impianti) costano come nelle strutture private, a volte meno.
Il fatto è che il modello generale di produzione di una grossa azienda (per di più vecchio di trent’anni) tende a essere rigido e quindi si adatta male alle innovazioni di linguaggio e alle esigenze di variabilità di determinate tipologie di programmazione.
Si ricorre così alla produzione esterna, determinando contemporaneamente costi aggiuntivi e sottoccupazione interna (mentre i costi fissi restano uguali).
Inoltre, i singoli modelli produttivi ( il varietà, il reportage, le riprese esterne, ecc) sono definiti – anche sindacalmente – attraverso mansioni e modelli operativi troppo specializzati che determinano un numero eccessivo di addetti per singolo prodotto.
I dirigenti della produzione e i sindacati sono consapevoli di questi problemi e sono pronti ad affrontarli.
Bisogna però prendere consapevolmente due decisioni (anche in questo caso con programmazione delle conseguenze) :
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decidere di fare all’interno la produzione che presenta forti caratteristiche di stabilità (circa il 70 %, non c’è da meravigliarsi: basta pensare alle trasmissioni giornalistiche e a tutte le fasce di quello che si chiama “light entertainment”); o che presenta elementi irrinunciabili di ricerca e sperimentazione; in questo modo si potrà riassorbire gran parte degli addetti, naturalmente con la utilizzazione di apparecchiature innovative, cambiamenti organizzativi e formativi che consentano variazione e ampliamento delle mansioni;
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alleggerire quantitativamente gli addetti a una singola produzione (modello produttivo) attraverso la creazione di figure professionali plurimansione, creazione che, come detto, richiede apparati moderni, formazione e incentivi.
L’integrazione tecnologica – produttiva e di fruizione – è in questa cornice oggetto di una attenzione strategica che da un lato favorisce lo sviluppo di ambiti operativi già presenti in Azienda e dall’altro lato è parte, consapevole e responsabile, di una componente significativa del processo di attuazione della Agenda digitale nazionale. Un progetto aggiornato deve raccordare in questo quadro fattori produttivi e tecnici con un impulso formativo trasversale per tutta l’Azienda
Restituire autonomia alle strutture editoriali
Ma il peso più distruttivo che oggi toglie alla Rai ogni spinta alla creatività, alla voglia di fare , al conseguimento dei risultati migliori è la cappa burocratica che si è insediata al centro dell’azienda, frantumando i processi operativi, moltiplicando i livelli decisionali, sequestrando le contropartite (anche le più legittime) che rendono il lavoro nel sistema radiotelevisivo “divertente ed entusiasmante”.
Questo naturalmente spinge gli addetti ai settori esecutivi, spesso espropriati e svuotati di ogni responsabilità specifica, alla passività burocratica o peggio ancora alla pura e semplice corruzione.
Che può consistere nella ricerca dei lavori o dei turni più convenienti, all’allungamento dei tempi di produzione (lavoro in straordinario), alla compiacenza nei confronti degli esecutori e dei fornitori, eccetera. Mentre determina il concentrarsi degli elementi più ambiziosi o più avventurosi verso le aree centrali di decisione che infatti in questi anni si sono moltiplicate tanto in termini di strutture e di addetti.
Queste sono le aree in cui si sono addensate figure professionalmente inadeguate che hanno creato fenomeni risaputi in azienda, paragonabili alla sindrome di Filippo II all’Escurial. Questo problema – dunque non del tutto nuovo – fu affrontato efficacemente all’epoca della riforma, contro l’accentramento e il controllo politico di Bernabei.
Si tratta di utilizzare bene la tecnica budgettaria con misure diverse: approvazione delle linee editoriali e dei piani operativi, conseguente assegnazione di mezzi, personale e soldi , controllo dei processi e non dei prodotti finiti.
C’è chi dice che la centralizzazione selvaggia riduce i costi. Ma niente è paragonabile al costo che la sovrastruttura burocratica rappresenta in se stessa e nelle conseguenze della sua attività (per frustrazione , demotivazione, corruzione, eccetera).
Lo specifico dell’informazione
Si colloca qui una riflessione che – per l’ampiezza e il peso politico che assume il settore – meriterà altri approfondimenti. Tuttavia un raccordo con il tema generale dell’autonomia editoriale obbliga a spunti che fanno parte, in senso, alto di un rinnovamento della cultura organizzativa dell’Azienda nel campo dell’informazione e quindi della realizzazione del prodotto giornalistico.
La pluralità di reti e canali resta, nella riduzione “politicizzata” che si è imposta nel costume professionale della Rai, molto caratterizzata dalla geometria di impaginazione delle dichiarazioni e dei commenti degli esponenti politici (secondariamente dai rappresentanti della società economica e culturale).
Su questa “geometria” si sono combattute quasi tutte le battaglie, si sono misurati schieramenti e rapporti di forza, si sono definite le stagioni stesse dell’evoluzione politica della Rai.
Inutile negarne il senso e il significato. Importante però sarebbe correggere, in rispetto dell’evoluzione al tempo stesso dell’utenza e della concorrenza, il prodotto giornalistico nella sua complessità. Spingendo cioè le redazioni a promuovere più giornalismo di inchiesta e di ricerca – oggi meno condizionato dalla tecnologia pesante (come alcuni programmi civilmente importanti della Rai e non della Rai dimostrano) – non inteso come mero “riempitivo”, ma come innovazione editoriale di prodotto, tesa a un racconto più ampio e più interpretativo sia del contesto italiano che del contesto internazionale.
Un sistema di TG/GR fatto più di Ilaria Alpi che di “impaginatori” che, nell’ambito territoriale e nelle grandi vicende nazionali e internazionali, sia capace di interpretare non solo il flusso delle necessità informative dalle fonti alle utenze ma anche il contrario. Partendo cioè da attese e bisogni della società, per responsabilizzare di più la forte organizzazione professionale interna nella logica di “servizio”.
Impianti trasmittenti e di collegamento
Su questa materia vi sono state a più riprese analisi per agire con alcune necessarie discontinuità. Durante la presidenza Zaccaria era stata ipotizzata la cessione di una parte degli impianti ad una multinazionale delle comunicazioni (Crown Castle) con un cospicuo realizzo finanziario, ma anche con successivo aggravio economico.
Il tema si ripropone e può trovare ora – nell’integrazione di competenze nell’ambito ministeriale dello Sviluppo Economico – qualche risposta più adeguata.
La Rai non può trovare infatti riposte separate da un una strategia nazionale nel settore delle telecomunicazioni. Tenendo presente alcuni termini generali della questione:
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le tecnologie di trasmissione e diffusione nel settore delle tlc evolvono con una tale velocità che una immobilizzazione a lungo termine è esposta a gravi rischi di obsolescenza;
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alcuni sistemi di connessione proprietari per riversamenti interni, collegamenti veloci con il territorio nazionale , produzioni basate sulla interconnessione, sono necessari a un servizio pubblico come la Rai;
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è necessario che la Rai possa sperimentare in ogni momento il rapporto tra nuove tecnologie diffusive e nuovi prodotti senza sottostare alle limitazioni e alle imposizioni che le possono derivare dalla utilizzazione di impianti posseduti da altri soggetti nazionali o sovranazionali.
La scelta in questa materia va dunque demandata, nel quadro della nuova legge, al Ministero competente, tenendo comunque presente che il servizio pubblico – nella prospettiva di una abbondante e crescente disponibilità di canali distributivi – dovrà concentrarsi e caratterizzarsi sempre di più nelle sue strategie editoriali, nella sua capacità produttiva, nella ricerca continua di linguaggi innovativi capaci di raggiungere e interessare pubblici dai bisogni molteplici e diversificati.
Gestione economica
Un intervento strutturale sulla Rai non avrebbe significato (e non sarebbe possibile) se non determinasse un vantaggio riconoscibile e allargato verso settori diversi della comunità nazionale.
Il primo risultato da perseguire e conseguire sarebbe quello dell’abbassamento del canone di abbonamento e ,contemporaneamente , dell’abbattimento dell’evasione.
Se tutte le famiglie italiane (e le utenze speciali) pagassero il canone sarebbe contemporaneamente possibile ridurre la tassa annuale a 100 € e quindi far salire gli introiti relativi dagli attuali € 1.700 milioni a oltre € 2000 milioni.
Questo consentirebbe di ridurre gli introiti pubblicitari Rai (tra i € 150 e i € 200 milioni) con una significativa riduzione degli affollamenti che potrebbe essere estesa anche a Mediaset e a Sky determinando complessivamente una riduzione della quota di pubblicità assorbita dalla tv e quindi a disposizione dei giornali.
Questo risultato sarebbe conseguibile se il Governo si assumesse la responsabilità piena della esazione del canone Tv , riconoscendone la natura di tassa, pagando alla Rai la quota relativa alle utenze effettive e perseguendo tramite Equitalia l’abnorme evasione.
In questo quadro va avviato uno studio concreto e responsabile sulla scenaristica del sistema pubblicitario in relazione alle dinamiche che l’evoluzione della rete internet va creando, al fine di posizionarsi in una disponibilità allo sviluppo fisiologico del sistema.
Introduzione della meritocrazia nelle assunzioni, nelle carriere e nella scelta dei dirigenti
Una delle storture più evidenti nella gestione della Rai degli ultimi anni è costituita dall’arbitrio assoluto con cui sono gestiti gli accessi dal basso , le carriere e la scelta dei dirigenti. Anche qui non si vuole e non si deve puntare all’autarchia. Ma si deve ricordare che le migliori leve che hanno fondato (nel 1952) e hanno rinnovato (nel 1968) la Rai sono state selezionate attraverso concorsi nazionali.
Così come per diventare Direttore di rete o di Testata dovrebbero essere consentite candidature e auto-candidature basate sulla conoscenza oggettiva della durata e della retribuzione degli incarichi e imposte valutazioni effettuate sulla base di curriculum e colloqui.
Conclusioni
Dunque il Governo può, non solo senza offendere il Parlamento ma riferendo ad esso ampiamente in ordine a queste misure e in attesa di una riforma della Legge Gasparri (che può essere fatta in questa legislatura – ove tutti fossero d’accordo – o nella prossima, dalla maggioranza che uscirà dalle urne nel 2013) intervenire urgentemente sulla Rai attraverso:
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la scelta di adeguati e competenti organi di gestione, in un approccio coerente con i caratteri emergenziali della situazione generale del Paese (come accennato in precedenza);
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una ridefinizione della misura e della gestione del canone;
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una modifica del regime degli affollamenti pubblicitari ;
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uno stanziamento straordinario di € 200/300 milioni a Rai per incentivare l’esodo anticipato (ringiovanimento + ripulitura) di circa 1000 persone ed effettuare gli investimenti innovativi nei settori della produzione ;
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la presentazione-elaborazione di un piano di risanamento gestionale che dimostri la possibilità di una gestione a costi più contenuti, con la effettuazione degli investimenti innovativi, la riduzione della pubblicità, la introduzione di criteri oggettivi per le immissioni, le carriere e le nomine, la revisione dei criteri organizzativi, dei modelli produttivi, eccetera.
Come si percepisce questo piano non può passare come una nota di semplici interventi tecnici. C’è un punto di ispirazione politica che è innegabile. Per realizzarlo dunque c’è bisogno di consenso. Che è concepibile nel quadro di una responsabile rappresentanza capace di pensare azienda e pensare paese, consapevole che il ruolo della Rai si inquadra in un complesso sistemico delle comunicazioni che va tenuto non solo in equilibrio ma va orientato generalmente allo sviluppo e alla competizione di interesse per l’Italia e per l’Europa. Con scelte di servizio pubblico ma attenta al difficile momento in cui operano tutti i players delle comunicazioni, pubblici e privati, elettronici ed editoriali.