Decisione politica e democrazia partecipativa in applicazione legge 99/2009 su rilancio nucleare

Energia nucleare. La gestione del consenso
Giornata di studio AIN – ASSOCIAZIONE ITALIANA NUCLEARE
Roma, Teatro Capranica – 12 novembre 2009
 
Formazione della decisione politica, media e comunicazione
Relazione del Prof. Stefano Rolando
Università IULM, Milano
 
L’Associazione Italiana Nucleare ha promosso una giornata di studio sui problemi della creazione di uno spazio di importante dibattito pubblico in Italia in materia di attuazione della legge n. 99 del 23 luglio 2009 che riapre il programma nucleare italiano, ma attorno a cui si segnalano divisioni – oltre che nel quadro politico – anche tra enti regionali e territoriali e un’articolazione di posizioni tra soggetti sociali e associativi, a fronte di un generale tema che è quello della modesta cultura scientifica degli italiani e della finora non adeguatamente perseguita strada in Italia del “dibattito pubblico” seriamente regolamentato su temi di particolare importanza e complessità. Studiosi e rappresentanti istituzionali hanno portato il loro contributo. Al prof. Stefano Rolando è stato chiesto di esaminare il profilo della formazione della decisione nell’ambito politico nel quadro di cambiamenti dell’accesso alla conoscenza correlando questo tema a quello del dialogo tra istituzioni e cittadini nelle forme proprie della democrazia partecipativa. Questa la sintesi del trattamento delle questioni nella relazione.
 
 

 
 
Ambiti di formazione del processo decisionale politico
 
Se dovessimo tracciare una gerarchia degli ambiti attraverso cui attualmente il legislatore – e più in generale il decisore politico – acquisisce gli elementi di conoscenza e di formazione di opinione attorno alle materie di competenza, con particolare riferimento ai “temi complessi” (contenuto, spessore tecnico-scientifico, profili di confronto, implicazioni, eccetera) che richiedono generalmente, salvo che per gli specifici addetti ai lavori, trattamenti descrittivi semplificati, potremmo ritenere che essi si delineino nel modo seguente (con l’avvertenza che tali ambiti non corrispondono in questa gerarchia alle modalità di uniformare la decisione finale a fattori di “linea” o di posizionamento politico ufficiale):
  1. il circuito mediatico (comprensivo dei  new media che agiscono con specifica influenza in prevalenti ambiti generazionali e di acculturazione generale);
  2. i luoghi istituzionali (presso cui il decisore opera e che hanno – non sempre e non in modo uniforme – procedure di formazione dei “dossier” di conoscenza);
  3. soggetti produttivi e associativi che interagiscono con forme di relazioni istituzionali (lobbying) implicanti offerta di documentazione e di analisi;
  4. i circuiti della formazione (scuola/università) e i centri di formazione della classe dirigente, in cui sono acquisite le principali categorie metodologiche per darsi strumenti di accesso alla conoscenza;
  5. le strutture organizzative di partiti (e movimenti), ovvero l’articolazione classica della modalità della politica di intermediare conoscenza a scopo decisionale.
Come detto, le gerarchie poi del potere interno alla propria organizzazione (che interagiscono comunque in forma ascendente e discendente alla circolazione del sapere delle filiere di appartenenza) hanno facoltà di “dettare la linea” in particolare a ridosso delle scadenze decisionali, in ordine a cui i processi di uniformazione (o di dissenso) esprimono non solo condivisione culturale ma anche più generali fattori di convenienza, talvolta dissociati dal merito.
 
 
 
Indebolimento progressivo delle strutture deputate nei partiti al posizionamento in materia di decisioni complesse
 
Avere collocato per ultimo gli ambiti organizzativi interni della politica, ci fa ricordare che essi hanno avuto rilevante presidio e funzione nella lunga fase di esistenza di soggetti politici prevalentemente strutturati sul posizionamento ideologico. Ovvero:
  • Uffici studi
  • Uffici legislativi 
  • Uffici relazioni internazionali
  • Uffici cultura e informazione
  • Uffici formazione quadri
 
 
Ragioni del declino delle strutture di elaborazione interne ai partiti
 
Esse ci fanno comprendere il quadro di cambiamenti che almeno nell’ultimo quindicennio sono visibili nel rapporto tra i soggetti politici e la formazione della loro classe dirigente:
  • il declino delle ideologie
  • il declino del ruolo culturale dei partiti politici
  • il declino della professionalizzazione degli apparati
  • l’abbassamento della soglia di competenza nella dirigenza dei partiti
  • la riduzione del ruolo dei “contenuti” nella competitività e nel posizionamento politico (argomento molto delicato e importante nell’ambito di temi come quello oggi in discussione).
 
 
Nuove funzioni connesse al posizionamento
 
Ma non bisogna commettere l’errore di pensare che il declino di una storica forma-partito renda questi soggetti – gravati di alta responsabilità costituzionale e comunque essenziali (anzi ormai decisivi anche indipendentemente dalla scelta personale degli elettori) nella selezione dei candidati a pubbliche responsabilità – siano privati di forme di accesso alla conoscenza e soprattutto di modalità di accertare e selezionare la “domanda” dell’elettorato ai fini di una organizzazione della offerta politica (espressione che viene utilizzata in questi termini, esattamente ormai con il linguaggio e le procedure del mercato dei beni e dei servizi). Vi sono forme nuove che vanno prese in considerazione.
  • Vi è innanzi tutto una evidente crescita del marketing politico ed elettorale, che – come per l’impresa – seleziona e accerta la domanda, ma soprattutto fa emergere punte alte di attesa, attorno a cui possono concorrere più offerte di soggetti politici (non più quindi in relazione al posizionamento ideologico) differenziando aspetti di connotazione (per lo più comunicativa).
  • Vi è di conseguenza una flessibile convergenza sui contenuti con differenziazioni nei processi di visibilità, che assumono maggiore centralità.
  • Vi poi certamente una crescita degli strumenti partecipativi in rete, che muovono oggi leve importanti nel rapporto tra conoscenza, condivisione e scambio.
  • Si registra un ruolo crescente delle  fondazioni (anche non organiche) per lo svolgimento di attività di  ricerca, confronto  e posizionamento, che in taluni casi sono deliberatamente “soggetti terzi” rispetto al partito (per mantenere un rapporto libero tra la forma di acculturazione e la fase decisionale).
 
La rete come ambito della percezione e del posizionamento
 
Abbiamo detto che la “rete” immateriale sta progressivamente sostituendo (o fortemente differenziando) la vecchia rete materiale delle sezioni, dei circoli, dei centri attraverso cui l’appartenenza partitica si esprimeva, creando forme dirette di partecipazione. Diciamo che le due reti convivono con evidente crescita di un sistema di interazione ampio a costi limitati che permette, riguardo al tema che qui trattiamo:
  • l’intercettazione della documentazione istruttoria, sia pure nelle forme non sempre rigorose in cui i “giacimenti in rete” la esprimono, ma che costituisce un inventario formidabile per estensione e ricchezza delle citazioni utili;
  • l’ascolto di tendenze e rumors (che è materia su cui la recente campagna elettorale americana ha dimostrato l’importanza, in una continua messa a punto di “registrazioni” e di forme con cui si assecondavano le sensibilità della vasta platea degli interlocutori;
  • la costruzione luoghi di discussione (che è la vera e propria agorà sostituiva dell’antica rete dei centri territoriali di frequentazione)
  • la creazione di social network (che con una certa approssimazione della condivisione, creano sistemi di interazione in cui le soggettività possono esprimersi all’interno della tematica condivisa);
  • l’ applicazione delle opportunità di e-democracy (che riconducono l’idea della democrazia non a una formale estensione a tutti ma al diritto di partecipazione effettivamente esercitato, potendosi esprimere dalla fase di ascolto alla fase di voto).
 
 
I format della competitività
 
E’ chiaro che nell’era in cui la comunicazione ha soppiantato l ‘ideologia nel rapporto tra militanza e forme della decisione istituzionale i caratteri con cui avviene il confronto e la stessa competitività tra soggetti vedono un accento più forte nel trattamento relazionale rispetto al principio di coerenza tra “posizionamento classico” e opzioni segmentali sui contenuti. I tre profili che appaiono decisivi nella competitività sono:
  • il profilo della leadership  (a cui risale sempre la legittimazione del posizionamento);
  • il profilo della visibilità (che è costituita dalla occupazione dello spazio diaframmatico corrispondente al target);
  • il profilo della comunicabilità (ovvero la semplificazione dei messaggi in relazione alle analisi delle attese).
 
 
La comunicazione pubblica di nuova generazione
 
Questa premessa sulla trasformazione dei partiti (di cui la trasformazione maggiore nel rapporto tra acculturazione e responsabilità sta avvenendo nel declino del parametro del “cursus honorum” per regolare le carriere politiche, costruendo percorsi di crescita graduale, sperimentata e verificata di competenza in ordine a cui il raggiungimento di un posto di alta responsabilità era quasi mai “per caso” ma corrispondeva ad una fase piuttosto razionale del “percorso”) ci consente di entrare meglio nella seconda parte di questa breve analisi.
In essa ipotizziamo che, comunque, i processi decisionali e autorizzativi che riguardano la futura applicazione di una legge delicata come è la legge 99 del 23 luglio 2009 che riapre il programma nucleare italiano richiedono nel rapporto tra opinione pubblica e decisioni istituzionali l’instaurarsi di
  • un robusto quadro di dialogo
  •  e l’organizzazione della “spiegazione” fino a soglie di accertata condivisione,
dal momento che anche i dati presentati dalla relazione di apertura di Renato Mannheimer, sotto la fragile cornice di due terzi a favore e un terzo contro, esprimono su molti aspetti una società italiana sostanzialmente divisa e capace di ridividersi anche in forme conflittuali ove tale dialogo non sia robusto, serio, argomentato, capillare e non costruito su modelli di propaganda.
Ecco che si profila dunque un territorio che chiamo di “comunicazione pubblica di nuova generazione”.
In cui proprio i cosiddetti temi complessi costituiscono area di dialogo tra pubblico e privato, tra istituzioni e imprese, tra decisori e soggetti portatori di diritti e valori che superano lo schema antagonista e fin qui separato tra comunicazione politica, comunicazione sociale, comunicazione di impresa, comunicazione istituzionale.
 
 
Questo territorio assume le valenze della comunicazione di pubblica utilità
 
Esso è compreso nella tematica che aveva avuto una collocazione particolare nel testo del tratto costituzionale europeo, poi non approvato, attorno allo stesso concetto di democrazia, in cui appunto la democrazia partecipativa (quella di cui stiamo parlando) era disegnata con pari importanza rispetto alla democrazia rappresentativa.
 E’ fuori di dubbio che la procedura di ascolto e confronto che le istituzioni comunitarie oggi esprimono sia superiore  a quella in atto in quasi tutti i suoi stati membri.
Si tratta di
  • una forma non generica e improvvisata;
  • un processo tendenzialmente non verticalizzato (anche se programmato);
  • un dibattito pubblico con regole e definizione dei partecipanti legittimi;
  • uno spazio in cui autorità serie preposte selezionale l’ammissibilità dei documenti di discussione;
  • uno schema di rispetto del pluralismo delle fonti e di trasparenza delle argomentazioni.
 
I soggetti politici hanno una grande opportunità
 
Essi possono immaginare che una caotica discussione che insegue oggi la virulenza degli antinuclearisti domani l’assertività degli iper-nuclearisti sbandi senza regole e magari con il terribile condimento di costose campagne pubblicitarie calate in questo territorio irrazionale.
Ma possono anche immaginare che sia predisposto un programma – di stampa europeo (e anche americano, per la verità, come lo schema dell’ottima relazione del segretario generale dell’AIN ing. Spezia annuncia – che corrisponde ai caratteri di una comunità nazionale che vuole pensare di crescere in consapevolezza e responsabilità di fronte a un tema molto importante del rapporto tra sviluppo, costi e sicurezze. Importante per i cittadini, per i consumatori, per le imprese, per le pubbliche amministrazioni.
I soggetti politici possono scegliendo una o l’altra strada di avviamento della discussione pubblica innovare una modalità antica del loro ruolo di “mediazione”.
Potrebbero dunque promuovere – attraverso scelte adeguatamente indossate dalle istituzioni competenti – un “patto” che favorisce il format partecipativo che unisce l’ambito di informazione del cittadino e quello di percezione e istruzione del loro stesso sistema decisionale
Dimostrando poi che le opzioni compiute sono coerenti con i dati emersi (cioè dando grande credibilità al percorso di crescita comune che si può attuare).
 
 
 
Un patto comunicativo che genera regole
 
In questo “patto” c’è posto per tutti i luoghi che abbiamo indicato come superfici di percezione e circolazione della conoscenza funzionale ai processi decisionali.
Con alcune innovazioni. Per esempio:
  • regole per il servizio pubblico radio tv;
  • regole per la circolazione dei sondaggi sui media;
  • regole per il diritto di parola dei soggetti portatori di valori e interessi;
  • regole per l’ammissibilità (secondo parametri seri convenuti e controllati) dei materiali oggetto della discussione;
  • regole per la formazione degli atti istruttori nell’ambito dei soggetti legislatori;
  • regole per il trattamento statistico di corredo;
  • regole per l’approccio metodologico della formazione pubblica (profili tabellari della didattica).
 
Tra i temi complessi, quello nucleare
 
Ne parliamo in questo ambito perché i più tra i presenti hanno il netto convincimento che le questioni energetiche e le opzioni per le fonti alternative con al centro la prospettiva di un programma nucleare (ex-lege 99/2009) costituiscono un territorio esemplare per un patto formativo e informativo tra soggetti istituzionali, associativi e sociali.
Tuttavia questa esemplarità non è solo conformata al bisogno di spianare la strada ad un metodo di dibattito razionale. La strada va anche “affrontata” in forme civili ma prudenti, sapendo che vi sono eredità e ingombri che fanno parte di una serie di radicate “irrazionalità”. Che non vanno cancellate in forma sprezzante ma collocate dentro l’analisi complessiva della condizione culturale del paese.
Ricordando dunque che le razionalità degli approcci comunicativi si devono misurare con nodi che hanno posto nella memoria della politica italiana
          la paura (Chernobyl)
          la presa comunicativa ambientalista (referendum del 1987)
          la capacità di “racconto” delle culture del NO (la vicenda di Scanzano)
          la conflittualità inter-territoriale che spesso si esprime in molteplici acrobazie comunicative per acquisire vantaggi e scansare responsabilità.
 
La conclusione del nostro ragionamento
 
(che è solo cornice per cenni ad una idea di programmazione del dibattito pubblico) ci fa ipotizzare che la legge 99/2009 richieda oggi
  • una politica pubblica culturale e comunicativa fondata non sulla contro-propaganda ma sull’avanzamento di una vera cultura scientifica sociale;
  • espressa da un patto organizzativo del confronto capace di misurarsi non solo con il sistema mediatico ma anche con quello dell’istruzione e della formazione.
 
Stefano Rolando
E’ professore all’ Università IULM di Milano di Teorie e tecniche della comunicazione pubblica e di Politiche pubbliche per le comunicazioni. E’ segretario generale di Fondazione Università IULM, membro del Consiglio scientifico dell’Unesco, membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni.Sue pubblicazioni di prossima uscita su questa materia:
          Economia e gestione della comunicazione delle organizzazioni complesse – CEDAM
          Politiche pubbliche per le comunicazioni – Etas
Contatti : www.stefanorolando.it – stefano.rolando@iulm.it