Crollo di ruolo delle assemblee regionali – In Europaquotidiano on line dal 29.9.2012

Europaquotiano (http://www.europaquotidiano.it) – 29 settembre 2012
Crollo di ruolo delle assemblee regionali italiane
Stefano Rolando

Chi scrive – professore di ruolo per avere vinto un concorso a cattedra in discipline economiche – è stato in precedenza manager in istituzioni e in grandi aziende, pubbliche e private. Abitualmente scrive di materie di sua competenza, cioè di branding, opinione pubblica, comunicazione, media. Da qualche tempo svolge analisi sulla “buona politica”
[1] che spingono questa volta a scrivere sul rapporto – civile, etico ed economico – tra politica e immoralità, così come casi eclatanti nel Consiglio regionale della Lombardia e in questi giorni nel Consiglio regionale del Lazio (due regioni di punta del sistema Italia) hanno fatto emergere provocando già nelle prime ore un incremento del 4% delle intenzioni di astensione alle prossime elezioni [2].
Chi scrive non lo fa per sentito dire, ma per avere fatto per cinque anni, a cavallo di due legislature il direttore generale del Consiglio regionale della Lombardia a Milano (anzi coordinatore dei direttori generali, chiamato per la propria indipendenza dai partiti) e per più mandati il segretario generale della Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali, a Roma, confermato da quattro presidenti. Nel primo caso indotto a lasciare (appunto optando per un concorso a cattedra) per l’impossibilità di continuare ad esercitare con indipendenza e onestà un ruolo che, nell’ufficio di presidenza,  due su tre esponenti della maggioranza di centro-destra concepivano in senso affaristico (uno poi andò in galera) o clientelare (uno pretendeva di far fare agli alti dirigenti nomine di incompetenti a lui fedeli); con i due esponenti dell’opposizione una disinteressata alle sorti di un alto dirigente indipendente (cioè non dei “suoi”) e uno solo, alla fine, garante e difensore delle libertà (nella lealtà) di un manager (lo cito perchè virtuoso, il cattolico Giuseppe Adamoli). Nel secondo caso indotto a lasciare perchè il sistema regionale si andava costruendo con evidenza sul potere assoluto e reale delle giunte (proposta, bilancio, rappresentanza) e su nessun contropotere dei “parlamenti” (nè controllo, nè democrazia). Era sommamente scomodo un presidio esercitato da chi era stato chiamato ad agire per merito essenziale di un presidente (giovane, colto, per bene, l’allora presidente del Consiglio della Valle d’Aosta Robert Louvin) che aveva impostato una politica netta di esercizio della rappresentanza e dei diritti democratici, condividendo l’opinione allora di un esponente politico nazionale del livello di Giuliano Amato che diceva “in democrazia potere e contropotere debbono avere lo stesso potere”.
Quel sistema ha rinunciato a riflettere su come esercitare davvero l’attività di controllo sull’esecutivo, ha rinunciato a prendere in esame studi seri impostati su come valutare l’impatto della legislazione, ha rinunciato ad adottare parametri di produttività istituzionale. Era invece interessato a compensare la perdita di potere dei 9/10 della politica regionale – quella cioè senza cariche assessorili – con denaro, privilegi e ozio, per “far politica”. In pratica per coltivare l’idea di potere, un giorno, entrare in giunta. In cima alle preoccupazioni l’allineamento dello stipendio a quello dei parlamentari nazionali e il conseguimento dei vitalizi dopo avere esercitato i mandati. Anche un solo mandato.
Si staglia così, in quel periodo, l’immoralità di un sistema che la dequalificazione ulteriore del ceto politico porta alle derive oggi in evidenza. Ne sono colpevoli coloro che hanno favorito questo sistema. Ma ne sono anche colpevoli i cosiddetti “governatori” che hanno pagato prezzi per far star buone le loro assemblee, rendendo inoffensivi i banchi del legislativo e carta straccia le relazioni, gli studi, le analisi, di quelle assemblee (per lo più i residui funzionari ancora protesi ad esere utili alla democrazia).
Non aggiungo aneddoti. Per chi scrive sono state sofferenze. Introduco qui solo brevi proposte. E’ urgente:
  1. riallineare gli stipendi degli eletti al massimo a quelli dei professori universitari (1700 euro dei ricercatori per gli eletti semplici, 2500 euro degli associati per i presidenti di commissione e i membri dell’ufficio di presidenza, 4000 euro degli ordinari per il presidente dell’assemblea e per gli assessori, 6000 euro dei rettori per il presidente del governo regionale);
  2. prevedere la contribuzione previdenziale per gli anni di mandato, con liquidazione senza vitalizio;
  3. ricondurre i controlli sulle spese di soggetti politici (come i gruppi consiliari) a competenza delle magistrature amministrative;
  4. obbligare l’assemblea a redigere annualmente una relazione di valutazione sull’azione di governo e sull’impatto della legislazione, consentendo solo un commento al governo ma non la redazione propagandistica di una propria unica e solitaria relazione di valutazione.
Molte altre misure potrebbero essere introdotte (anche nel quadro di una vera riforma del bicameralismo nel senso di un ramo del Parlamento espressione di secondo grado di eletti locali e regionali, con indennità di spese e senza stipendio aggiuntivo). Ma esistono luoghi e modi diversi per agire in questa direzione prima delle prossime elezioni.
Con il titolo “Regioni si può cambiare” al link
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/137481


[1]    La buonapolitica – Cantiere Milano-Italia, ed. Rubbettino, giugno 2012.
[2]    IPSOS, rilevazione del 25 settembre 2012.