Crisis management e comunicazione in Europa. Apertura del Club of Venice 2009

CLUB of VENICE
Venice International University
19 novembre 2009
 
 
Opening statement
Stefano Rolando
 
 

 
1.     Nel dare il benvenuto (anche a nome di Mike Granatt, il nostro coordinatore, che per ragioni di famiglia non può essere presente) a coloro che per la prima volta rappresentano qui strutture di informazione e comunicazione di Stati membri o di istituzioni comunitarie (mi felicito soprattutto per la presenza la prima volta della Banca Europea e dell’Islanda), ringrazio anche i rappresentanti di Comune, Provincia e Regione che qui a Venezia ci aiutano ogni anno a concretizzare questo evento – insieme al Dipartimento per gli Affari Comunitari della Presidenza del Consiglio dei Ministri – e che segnalano anche l’importanza dei soggetti territoriali nella filiera delle responsabilità istituzionali in tutta Europa nel campo della comunicazione istituzionale.
2.     Stiamo per arrivare alla cinquantesima sessione del Club di Venezia, dal 1986 a oggi. Sarà la prossima. Comunque sono 24 anni che si mantiene il valore e il significato di questo “tavolo informale” in cui senza poteri, senza decisioni, senza bandiere, senza strutture, si riesce a discutere su argomenti delicati e che sono spesso materia di gelosia nazionale o di conflitto tra l’Europa dei governi e l’Europa comunitaria.
3.     E’ evidente che 24 anni sono almeno cinque cicli di cambiamento nel sistema comunicativo. Dunque un percorso che segna differenze anche abissali. A metà degli anni ’80 al centro della comunicazione pubblica vi era il rapporto tra Europa e Stati nazionali. Ora la “geopolitica” presenta  un più netto quadrilatero, in cui ha molto peso il territorio e ha molto peso la globalizzazione. A metà degli anni ’80 le “vedettes” professionali della comunicazione erano il giornalismo e la pubblicità. Oggi la dinamica della rete – con la sua rivoluzione di bassi costi, con la sua interattività, con il suo tempo reale – ha cambiato la natura di processi e prodotti. Mentre avanza una cultura di marketing sociale che, pur nel dovere delle istituzioni di parlare a tutti, pone l’esigenza di segmentare (linguaggi, mezzi, messaggi) e apre le porte alla cultura dell’ascolto.
4.     In questi anni si segnala una evidente forte evoluzione del perimetro della materia. La comunicazione pubblica nasce come territorio dei messaggi istituzionali ai cittadini. Poi diventa gestione dell’ascolto e – in alcuni paesi – organizzazione del “dibattito pubblico”, cioè di serie procedure della democrazia partecipativa (ho detto “alcuni paesi” perché non sempre ciò è radicato e non sempre ciò è incentivato). Poi la stessa parola “pubblico” assume un carattere nuovo, non più “proprietà” dello Stato o delle istituzioni ma carattere di una “pubblica utilità” in cui hanno diritto di parola soggetti pubblici e privati, istituzioni e imprese, associazioni e anche singoli cittadini. E ancora la ricerca in Europa di nuovi modi di comunicare il patrimonio simbolico del processo di integrazione. La parola “pace” che servì a cementare l’avvio dell’Europa cerca una parola sostitutiva, che non può essere la parola “paura” che da alcuni anni serpeggia molto nell’informazione pubblica comunitaria.
5.     Dunque è cambiata la relazione tra comunicazione politica, comunicazione istituzionale, comunicazione sociale, comunicazione di impresa e media e chi ha responsabilità di rappresentazione generale ne deve tener conto.
6.     Le nostre tre sessioni a Venezia –a cui seguirà una sessione in Croazia – toccheranno alcuni aspetti di questa evoluzione. Un tema di merito emerge: la comunicazione connessa al crisis management, che spiega la presenza qui come ospite d’onore del Capo della Protezione Civile italiana e Sottosegretario del governo Guido Bertolaso; e che è materia rilevante per l’evoluzione tecnico-professionale della disciplina e per la formazione della nuova classe dirigente.
7.     Poi c’è un tema di metodo, che è la prosecuzione dell’analisi dell’incidenza della innovazione tecnologica nella comunicazione istituzionale. Già facevamo fatica a ritrovarci tutti nella problematica di web 2.0 (l’importanza dei social network) quando da un po’ di tempo soprattutto i nostri colleghi inglesi ci spingono a guardare alle seduzioni del web 3.0. (quello che riguarda le fonti nei motori di ricerca).
8.     E ancora un tema delle “velocità” del rapporto con l’Europa, che può essere letta come una croce in cui alla vecchia questione nord-sud si aggiunge una questione est-ovest (ne parleremo forse nella sessione in Croazia).
9.     Mi resta il dovere e il piacere di presentare ora un amico e un collega, che credo sia oggi un rappresentazione forte delle professionalità di servizio pubblico tra dimensione tecnica e dimensione civile. Guido Bertolaso porterà una testimonianza su come nella gestione di una vicenda complessa, come è quella di una grave calamità, oggi la comunicazione sia una leva strategica da progettare, gestire, governare.
10.Spiegherà lui e poi la sua responsabile della comunicazione Barbara Altomonte il senso di questa riflessione che lo rende qui un testimone pertinente. Ma a due argomenti vorrei rapidamente accennare.
·        Il primo riguarda l’evidente questione della assunzione di poteri che richiedono decisioni e velocità nei contesti di crisi e di emergenza e che potrebbero compromettere gli equilibri di una architettura democratica nelle vicende che richiedono governance ma anche partecipazione. La visita di lavoro che ho potuto fare – con un team di ricerca della mia università sui luoghi del terremoto –  mi ha permesso di accertare cosa vuol dire garantire risultati dimostrando sensibilità per il pluralismo della governance e per il ruolo del volontariato come espressione della società civile.
·        Il secondo riguarda il rapporto con la “verità” dei contesti d’azione. Ho raccontato il “caso Abruzzo” recentemente alla George Washington University (troverete le slide in inglese su Venicenet) per rispondere alla domanda se la comunicazione nel caso è stata un “successo”. Se prendiamo il breve periodo essa è stata un successo ma è stato messo un po’ in ombra il tema dell’importanza del lungo periodo per dare soluzione vera alla ricostruzione non solo fisica ma anche socio-economica. Lo stesso Bertolaso, quando si inauguravano frammenti di città ricostruita, ha detto questa cosa al telegiornale: i tempi veri sono cinque/dieci anni. Un’apertura al terreno di esame non propagandistico della questione comunicazione e terremoto, che qui merita una sottolineatura.
Auguro a tutti un buon lavoro, l’agenda è intensa, i temi importanti. I nostri senior, i vice-presidenti Mike van den Berghe, Niels Th?gersen e Hans Brunmayer, assicureranno il coordinamento delle tre sessioni. A Vincenzo Le Voci, Anna Maria Villa e Tiziana Antonelli un forte ringraziamento per avere assicurato anche quest’anno una perfetta organizzazione.