Contributi della Fondazione Nitti al seminario di Basilicata Futuro (Matera 20 febbraio)

Sabato 20 febbraio 2010 la Fondazione Basilicata Futuro, presieduta da Angelo Masi, ha promosso un seminario partecipato da molti esponenti dell’associazionismo economico, culturale, sociale e ambientale della città di Matera (e della regione Basilicata) attorno al tema “Il governo delle città“, cogliendo l’occasione per una interlocuzione con la Fondazione “Francesco Saverio Nitti” sia pure con un carattere di informalità giustificato anche dal non compiuto insediamento degli organi della Fondazione stessa. Stefano Rolando e Fabrizio Barca hanno dato contributi introduttivi  al seminario e poi hanno curato, nella sessione plenaria, la sintesi dei lavori di due panel riguardanti i processi di sostenibilità e le questioni di sviluppo economico.Il sen. Filippo Bubbico ha concluso i lavori. Nel sito della Fondazione pubblichiamo pertanto i contributi che sono stati forniti e una nota di sintesi dei lavori redatta da Aldo Paolicelli per il sito www.sassiland.com

Stefano Rolando *

Intervento al Seminario della Fondazione Basilicata Futuro su
Il governo della città
Matera, 20 febbraio 2010
 
Il paradigma nittiano della “moderna amministrazione”
oggi nel contesto del Mezzogiorno italiano
 
Lo Stato, lungi dall’essere l’antitesi degli individui, va considerato come la sintesi di essi, per dir meglio, come la forma più alta di cooperazione sociale. Non è che ogni forma di attività dello Stato sia una diminuzione della libertà individuale: anzi vi sono alcune libertà, le quali non sono possibili se non mediante lo sviluppo delle forme superiori della cooperazione sociale. Gli scrittori individualisti si compiacciono spesso di descrivere un Paese che non è mai esistito: che non esisterà mai forse”. (Francesco Saverio Nitti, Principi di scienza delle finanze, 1912)[1]
 
1. Breve premessa
Prima di entrare nel merito desidero rivolgere un vivo ringraziamento – insieme al prof. Fabrizio Barca – alla Fondazione Basilicata Futuro che ci consente di interagire, con riferimento alla Fondazione “Francesco Saverio Nitti” – in questa città, la città di Matera, che è parte così essenziale del territorio regionale, laddove in questa fase costitutiva (che deve ancora completarsi con la formazione degli organi direttivi e scientifici) il raggio di iniziativa e la stessa definizione della membership ha riguardato per definizione i “luoghi nittiani”, dunque i comuni di Melfi e Maratea e il perimetro provinciale di Potenza, pur portandoci il presidio stesso di una storia che ha confini nazionali e internazionali ad una evidente proiezione verso l’Italia e l’Europa.
Dunque questo primo “contatto” – in condizioni di informalità, perché appunto operiamo in fase ancora non formalizzata – è un auspicio di prossime più ampie opportunità, che vorremmo anche condividere con un partner fondatore come l’Università della Basilicata, di dialogo con tutti i soggetti culturalmente attivi del territorio regionale.
Sono lieto di interloquire dunque con i temi della progettazione socio-economica del territorio, secondo lo schema di panel differenziati che è stato previsto, svolgendo per ora queste considerazioni introduttive che mi vengono richieste su una relazione di carattere generale: una brevissima rilettura della modernità di Nitti in ordine all’idea di amministrazione pubblica e una, altrettanto sintetica prospettazione dei nodi che, in particolare nelle condizioni del Mezzogiorno italiano, proprio la nostra PA sembra presentare con caratteri, vorrei dirlo subito, di inusitata gravità e al contempo di necessaria e urgente rivitalizzazione di ruolo, dunque, di adeguati percorsi formativi. E’ questo, infatti, il territorio di scommessa che come Fondazione Nitti intendiamo prevalentemente intraprendere.
 
2. Nitti e la PA
L’originalità di Nitti rispetto al problema amministrativo sta nell’aver concettualizzato con lucidità una prospettiva di sviluppo dell’amministrazione ancora modernissima.
Perché non ideologica; al contrario  nutrita di fondate consapevolezze, dedotte da modelli antitetici che, se assunti nella loro completezza, avrebbero caratteri non adeguati, mentre se letti più pragmaticamente consegnano spunti rilevanti di opportunità.
·        Dalla visione liberista Nitti deriva la sfiducia nei meccanismi dirigistici top down e la preferenza per meccanismi che oggi chiameremmo “di quasi-mercato”. Comunque deriva la convinzione della necessità di non sopprimere mai del tutto l’iniziativa degli operatori privati, nel mentre si allarga la sfera dell’intervento pubblico. Ma non ne accetta la limitazione ideologica dell’intervento pubblico e la radicale sfiducia in ogni e qualsiasi gestione amministrativa.
·        Dal “germanesimo economico” e dal socialismo fa sua la necessità di un intervento riequilibratore delle istituzioni rispetto ai meccanismi di mercato e la proficuità di sistemi di sicurezza sociale. Non solo per ragioni di equità, ma per lo stesso tasso di imprenditorialità e di funzionalità del sistema capitalistico. Ma non ne accetta la visioni dirigistiche e non ne condivide la lettura solo e sempre fiduciosa in ogni e qualsiasi intervento pubblico.
Dunque, più Stato, ma solo a condizione che fosse di un certo tipo.
 
La  ricetta generale è declinata nei diversi esperimenti amministrativi attraverso i quali Nitti cambia il volto stesso della PA italiana. Potremmo intanto ricordare quattro paradigmi.
·        Impresa pubblica manageriale e intraprendente. In nulla vincolata alle rigidità organizzative del modello ministeriale (le ferrovie già erano lì a testimoniare l’impossibilità di funzionare in quel modo),  ma vincolata a una chiara mission di interesse pubblico (come fu per  l’INA e per il modello degli enti pubblici del Ventennio).
·        PA ministeriale ad alto tasso di sapere tecnico e meritocratica. Un’amministrazione  lontana dal tran tran del precedente e della gerontocrazia, capace di legittimarsi pubblicamente attraverso la qualità della sua azione. Fu questa la battaglia per la riqualificazione dei servizi di statistica, fatta dall’opposizione;  poi quella per una nuova burocrazia di “pochi e ben pagati” (condotta anche da Beneduce e Petrocchi [2]), una volta al governo.
·        Adozione di moderni sistemi assicurativi di sicurezza sociale. Un fermo obiettivo di sollievo della sofferenza diffusa nella società, compatibile con le logiche del mercato e non impositivo. Fu questo il lavoro nelle commissioni ministeriali di fine ‘800 per il “modello Bismark”, poi lo straordinario lavoro di costruzione ed operatività dell’INA.
·        Superamento delle pesanti disparità territoriali attraverso una legislazione di favore non assistenzialistica, ma viceversa orientata a creare le infrastrutture finanziarie e di sostegno allo sviluppo dell’imprenditoria privata. Questo furono le leggi speciali del primo decennio del ‘900  per Napoli , per la Basilicata, per la Calabria.
E si potrebbe continuare.
 
Nel concreto del suo operare come parlamentare e poi come ministro e come capo di governo Nitti fu riformatore dell’amministrazione e guida quotidiana di amministrazione di inusitata modernità.
Nel pieno della crisi economico-amministrativa che tutti i Paesi avanzati oggi attraversano, con la chiarezza di ripensamento che va quotidianamente emergendo rispetto a certi eccessi ideologici dell’ultimo trentennio di riforme del settore pubblico, Nitti ci dà ancora un approccio generale e ricette concrete di grandissima potenziale utilità.
Si parla molto di “rivincita di Keynes”.
Si dovrebbe ad altrettanto buon titolo parlare di “rivincita di Nitti”.
 
 
 
 
2. Qualche priorità per l’oggi.
A partire da queste riflessioni sull’attualità del pensiero di Nitti si può tentare di stilare una piccola lista di priorità per la modernizzazione delle amministrazioni oggi , in particolare di quelle territoriali del Mezzogiorno.
Sono consapevole che si tratta in parte di adattare e riportare a nuovo quel pensiero (con la sua carica di modernità), in parte però di affrontare sfide del tutto nuove e diciamo la verità anche diverse in un mondo che è del tutto cambiato. Ma anche su questo facendo tesoro di suggestioni dal passato, che rendono di una certa consistenza – come dire ? – una ipotesi “neonittiana”.
 
·        Punto primo. Innanzitutto, una amministrazione del territorio consapevole di dover trovare pragmaticamente strategie e strumenti coerenti con lo Stato del territorio stesso, con le attese dei suoi attori, ma anche con le potenzialità ed i limiti loro propri.
Ø       Un’amministrazione che non sia schiava dei dogmi del momento, ma che sappia assumersi un ruolo decisivo di promozione e sintesi senza prevaricare gli atri attori del sistema sociale. Altrove, a partire dall’esperienza del cosiddetto “modello Barcellona”, si vanno affermando modalità di intervento pubblico concertato con gli attori sociali, reticolari e non dirigistiche.
Ø       Modalità sussidiarie, in quanto ispirate a coinvolgere e valorizzare le energie della società, ma animate da amministrazioni attente a non farsi “catturare” dagli interessi meno nobili. Orientate, a questi fini, ad attivare processi decisionali ed operativi trasparenti e pubblicamente “scrutabili”, “inclusivi” ancor più che semplicemente “aperti”.
Ø       La chiamiamo “pianificazione strategica di territorio”. Ricorda tanto certi modelli nittiani dei primi decenni del ‘900; Ernesto Rossi immaginava cose simili negli anni ’50-’60 e la chiamava “pianificazione liberale[3]; Giorgio Ruffolo negli anni ’70 la immaginava come una programmazione basata su “un modello decentrato, nel quale la coerenza sia assicurata dalla rapidità e dall’efficienza del sistema di comunicazioni: un’organizzazione reticolare e cooperativa; non piramidale e gerarchica[4].
Ø       Oggi la riassumiamo nello slogan del “fare sistema”, nella modellistica ispirata al paradigma della “rete”.
 
·        Ora, su questo profilo, eravamo all’avanguardia, adesso siamo in ritardo. Due i principali profili di criticità nella prospettiva di recuperare terreno.
Ø       Il primo profilo affonda decisamente le radici nella patologia: la questione dello “Stato parallelo” della criminalità organizzata, del controllo del territorio e della legalità, che pregiudica ogni possibilità di adozione di quelle modalità operative moderne e sussidiarie.
Ø       Le Amministrazioni territoriali hanno in questo senso un duplice impegno da garantire.
Ø       In un primo senso, devono svincolarsi dall’abbraccio mortale delle mafie (mortale di morte fisica, di morte economica per mancanza di investimenti dall’esterno, di morte civile per scoraggiamento delle forze sane che emigrano) per virtù loro proprie, dandosi uomini, regole, dinamiche di relazione che spezzino i legami perversi troppe volte verificati e dimostrati; e questo sia a livello di politica (partiti e uomini delegati a gestire la cosa pubblica) che di burocrazie (il necessario contropotere dell’operatore di policy a tempo indeterminato).
Ø       In un secondo senso, deve fortemente attrezzarsi nella sua capacità di negoziare e cogestire politiche integrate multilevel, che è il modello che non solo in questo seminario ma nella attuale esperienza italiana ha in Fabrizio Barca un interprete originalissimo; perché è altrettanto evidente che l’ordine pubblico e la legalità rappresentano una sfida che nessun livello territoriale può vincere da solo, in quanto sono di competenza statale; ma anche che lo Stato non potrà mai sviluppare una azione di pura e semplice repressione in grado di sradicare un male così  endemico, se al contempo non ci sarà una corresponsabilizzazione dei livelli territoriali, in termini di condivisione delle politiche di sicurezza ma anche di progetti ed azioni di incivilimento, legati alle funzioni loro proprie di governo e sviluppo delle comunità locali. Occorre, insomma, saldare una coalizione di interessi ed azione con i livelli di governo superiori e questo postula una maturazione organizzativa di non poco momento.
Ø       Il secondo profilo di criticità riguarda pur sempre la patologia, in un senso meno epidermicamente drammatico (e per questo spesso sottovalutato) ma forse perfino più grave nel medio periodo per le prospettive di sviluppo economico: quello della sfiducia degli investitori potenziali, interni ed esterni alle diverse aree, rispetto al sistema politico/istituzionale dal quale dovrebbe ricevere certezze (o almeno sicuri affidamenti) su condizioni di operatività, regole, servizi e contesto delle proprie avventure imprenditoriali.
Ø       Anche in questo senso lo sviluppo economico potrà innescarsi ad un livello più soddisfacente solo a fronte di un evidente e ambizioso salto di qualità organizzativo e gestionale delle amministrazioni pubbliche. Alcuni anni fa un brillante giovane saggista (Giuliano Da Empoli) ha ripreso la battuta secondo cui  “il problema del Mezzogiorno è la mezzanotte”, intendendo l’attrattività di quei territori per giovani professionalità creative da cui dipende in larga parte la “nuova economia” e che chiedono, per investire la propria vita in un luogo, qualcosa di più del calmo ma sonnacchioso menage quotidiano [5].
Ø       Sarà probabilmente anche così: ma la sensazione è che attori anche di diverso genere chiedano soprattutto (e non trovino) amministrazioni in grado di decidere e presidiare forti politiche condivise e di gestire in modo efficiente e imparziale servizi e contesti.
Ø       Amministrazione pubblica, allora, in sintonia con i presidi culturali nel territorio (la ricerca applicata ambito di raccordo fisiologico con le università) e dunque capace di “amministrare” i dati (statistica e riferimenti) che riguardano i potenziali della ricchezza del territorio. Diventando “fonte” per i media e alimentando responsabilmente la crescente povertà culturale del potere politico.[6]
Dunque, su due fronti distinti ma collegati, una sfida di non poco momento.
Hic Rodus, hic salta.
·        Punto secondo. Proprio per far questo, occorre ripensare la tecnicità (e quindi la formazione) del personale delle nostre amministrazioni territoriali.
·        È una questione di meritocrazia, senz’altro; ma anche di tipologia dei saperi. Ai tempi di Nitti serviva più sapere economico, più sapere statistico; oggi più professionalità di negoziato e dialogo, di comunicazione, di gestione sociologica dei processi. Insomma di managerialità “fine”.
·        Una operazione da condurre a partire dal vertice, ovviamente, ovvero dalla selezione di élite capaci di indurre una più complessiva dinamica del lavoro di tutti. Ma da estendere a tutti i livelli, fino ad una auspicabile nuova leva di funzionari brillanti da far crescere in organizzazioni mature ed attente, senza bruciare le tappe e praticare illusori salti nel buoi generazionali (ma senza ipoteche gerontocratiche). Pochi e ben pagati subito, ma anche di più.
·        Nuove culture, insomma; e in questo, selezione dei migliori. Qualche buontempone di recente ha sostenuto una sorta di “inferiorità genetica” della gente del nostro Mezzogiorno, una sorta di deriva antimeritocratica iscritta in un ipotetico DNA. Consapevoli della effettiva storicità di vizi ed errori, occorre tra le prime cose smentire queste leggende riprendendo il meglio dal passato. Nitti, ma anche Fortunato, erano nati qui.
·        Ovviamente, per le medesime ragioni di contesto già evocate rispetto al punto primo anche la sfida di una “nuova burocrazia” passa per una evidente scommessa di discontinuità che è, al contempo, una sfida etica ed organizzativa.
Ø       Troppo a lungo le burocrazie meridionali (ma discorsi non troppo dissimili si possono fare a livello nazionale, anche senza scomodare l’incomoda attualità di scandali) sono state succubi di una politica senza progettualità, hanno limitato le proprie scommesse organizzative e di fantasia operativa (che non sono mai mancate del tutto) al livello micro di singoli progetti o funzioni.
Ø       Occorre, viceversa, che le burocrazie meridionali (più ancora di quelle nazionali) si riapproprino dell’orgoglio e del senso pieno di essere “potere dell’ufficio; che pretendano dalla politica
          orizzonti ampi di senso del proprio agire,
          respiro strategico per le politiche,
          voce in capitolo nella costruzione delle azioni,
          ruolo negoziale e comunicativo nel nuovo rapporto sussidiario con gli attori sociali (evocato come cuore delle scommessa funzionale posta al primo punto di questo breve indice di priorità);
Ø       che pretendano dagli attori sociali
          rispetto del loro ruolo di garanzia laica e di terzietà,
          trasparenza e correttezza nelle rivendicazioni e nelle relazioni,
          considerazione per lo specifico del loro sapere, in quanto depositari della continuità delle politiche e dei servizi.
·        Operazione, evidentemente, impossibile senza ricondurre a fisiologia il quadro normativo di quello sgangherato “spoils system all’italiana”[7];
Ø       che sta producendo danni enormi nell’amministrazione pubblica a tutti i livelli di governo; 
Ø       ma che, pur ritrovato il bandolo della matassa ormai intricata del bilanciamento professionalità/affidabilità politica, richiede molto di più, in termini di responsabilizzazione e impegno degli attori in campo.
·        Si tratta, infatti, di un scommessa difficile per tre grosse ragioni:
Ø       difficile perché postula una orgogliosa ma ardua riconquista di valori ed identità prima ancora che di saperi ed abilità;
Ø       difficile perché richiede comunque che questi saperi ed abilità vengano elevati ed aggiornati ad un contesto in vorticoso mutamento;
Ø       difficile perché impraticabile senza un rispettoso coinvolgimento degli interlocutori e stakeholders istituzionali e sociali, della politica, dai partiti agli uomini di governo, delle articolazioni della società, dai sindacati all’imprenditoria al terzo settore.
·        Punto terzo. Occorre inaugurare una nuova stagione di “ingegneria istituzionale”.
Ø       non per moltiplicare i corpi amministrativi, che sono certamente già troppi e non sempre funzionali, ma per ripensarli;
Ø       al limite, inizialmente soprattutto per disboscare una selva il cui rendimento è giustamente soggetto a pesante critica.
Ø       Ma per poi rimodellare nuove organizzazioni, pubbliche-pubbliche nella natura, nei vincoli e nelle prerogative, ma privatissime nell’approccio manageriale, nelle logiche operative e di funzionamento, nella concezione organizzativa.
·        Veniamo da due decenni di astratta e acritica esaltazione delle forme societarie e di agenzia. Con risultati non certamente sempre brillanti e rendimenti medi tuttora largamente insoddisfacenti.
·        Occorre ora rivedere e rifondare le istituzioni core, si chiamino assessorati o istituzioni o municipalizzate o enti.
·        Farla finita con l’eterna illusione dello scorporo per provare a rifondare il cuore della cittadella amministrativa dei nostri enti territoriali. E questo tanto più dove si è più indietro.
·        Serve fantasia e coraggio; ma è una sfida ineludibile perché un nuovo ruolo e una nuova élite non si potranno sviluppare in istituzioni decrepite e in molti casi del tutto fallite proprio in quanto organizzazioni.
Tra l’altro – negli spunti di prospettiva evocati, che hanno al centro le nuove culture amministrative del “fare rete” e del “fare sistema negoziale” – è facile leggere per l’orientamento formativo degli atenei e delle scuole di specializzazione del Mezzogiorno un’opportunità di rivincita rispetto ai modelli di amministrazione contabile e di controllo in cui la cultura giuridica meridionale ha prodotto ripetute generazioni di funzionari ma in fondo connessi ad una filiera asburgica e non ad una ipotesi culturale mediterranea, centrata sulla relazione tra saperi interpretativi.
Priorità, dunque, pensate per il domani guardando alle trasformazioni dell’oggi, ma con la consapevolezza del valore del passato.
Non solo e non tanto Nitti. Ma quanto Nitti c’è dentro…![8]
 
 
Il testo dell’intervento beneficia del dialogo con Giovanni Vetritto, dirigente della PA e membro del Comitato scientifico della Fondazione Nitti.
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* Stefano Rolando è professore di ruolo nel raggruppamento di Economia e gestione delle imprese e docente di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica e di Politiche pubbliche per le comunicazioni all’Università IULM di Milano. E’ stato per venticinque anni direttore generale in imprese e istituzioni (Stato e Regione). E’ presidente designato della Fondazione “Francesco Saverio Nitti”, che ha sede a Melfi e a Roma. Sul tema PA e comunicazione ha scritto costantemente dalla metà degli anni ottanta. L’ultimo testo: Economia e gestione della comunicazione delle organizzazioni complesse – Gli ambiti di convergenza tra comunicazione di impresa e comunicazione pubblica, CERDAM (Padova), febbraio 2010 (con ampia bibliografia).
 


[1] Manuale rieditato a Napoli, L. Pierro, 1912. pagg. XXVIII, 1007.
[2] Alberto Beneduce (Caserta, 29 maggio1877Roma, 26 aprile1944) è stato un economista e politicoitaliano, amministratore di importanti aziende statali nell’Italia pre-repubblicana, amministratore delegato dell’INA, primo presidente dell’IRI, oltre che ministro e deputato. Stretto collaboratore di Francesco Saverio Nitti. Da socialista riformista (ministro del Lavoro con Bonomi nel ’21) dal 25 collaborò con “con il potere esecutivo, come presidente dell’Istituto di Credito per le Imprese di Pubblica Utilità; la sua competenza sul funzionamento dello Stato e la stima di Mussolini ne fecero uno dei più ascoltati consiglieri economici del governo” (Wikipedia). Su di lui: Mimmo Franzinelli. Beneduce: il finanziere di Mussolini. Milano, Mondadori, 2009. Carlo Petrocchi, milanese, entrato nel 1902 nell’amministrazione pubblica, collaboratore stretto di Nitti, fu uno dei più innovatori manager pubblici nell’area dei Lavori pubblici.
[3] Tra i tanti riferimenti, il più recente: Ernesto Rossi, Un democratico europeo, a cura di Antonella Braga e Simonetta Michelotti,. Rubbettino, 2009, pp. XII-655.
[4] Vasta letteratura. Ma utile lo sguardo di ripensamento. Per esempio: (a cura di Luciano Cafagna), Riformismo italiano. Saggi per Giorgio Ruffolo, con interventi di Giorgio Napolitano, Walter Veltroni, Jacques Delors, Corrado Augias, Gino Giugni, Franco Archibugi, Federico Coen, Mario Pirani e altri, Donzelli, 2007.
[5] La battuta all’origine è di Ennio Flaiano. “Il vero problema del Mezzogiorno è la mezzanotte“, diceva Flaiano, lamentandosi della cappa di noia che calava sulle città del Sud dopo una certa ora della sera. Giuliano Da Empoli l’ ha ripresa in un articolo per la rivista della Camera di Commercio di Milano (http://www.mi.camcom.it/show.jsp?page=647710)
[6] La letteratura qui è sterminata. Dovendo scegliere due riferimenti generali: Francesco Saverio Nitti,  La ricchezza dell’Italia, Laterza, Bari 1966 (opera del periodo 1901-1905); Giuseppe Galasso,  Mezzogiorno medievale e moderno, Einaudi, Torino 1975.
 
[7] Inutile girare attorno alla questione. Il rimedio è quello di sempre. Allo spoils system si contrappone ì il merit system  (sistema del merito) in base al quale la titolarità degli uffici pubblici viene assegnata a seguito di una valutazione oggettiva della capacità di svolgere le relative funzioni, senza tenere conto dell’affiliazione politica dei candidati. Il metodo tipico attraverso il quale si realizza il merit system è il pubblico concorso.
 
[8] La Fondazione “Francesco Saverio Nitti” avvia nel 2010 la sua attività. Ne da conto al sito http://www.fondazionefsnitti.it

Stefano Rolando *

Intervento di sintesi
sulla discussione del panel dedicato ai temi della Città sostenibile
 al Seminario della Fondazione Basilicata Futuro su
Il governo della città
Matera, 20 febbraio 2010
 
Il brevissimo caveat che mi ero permesso di indicare all’inizio della discussione del nostro panel sulla città sostenibile – ovvero sulla declinazione “ampia” del concetto di sostenibilità, al di là del più invalso riferimento ai temi ambientali – era stato non solo già compiutamente programmato dagli organizzatori del seminario ma evidentemente già ben vissuto nei riferimenti culturali che animano questo genere di confronti progettuali a fronte di ipotesi di cambiamento di “governo”.
Dunque sostenibilità come matrice integrata:
·        innanzi tutto secondo un profilo culturale, in ordine a cui è primario impegno quello di “sostenere” la propria storia, facendosi carico del patrimonio simbolico che essa propone in una ridefinizione del branding pubblico che è al tempo stesso appartenenza e marketing territoriale;
·        poi un profilo economico che esprime sostanzialmente non solo la “rivendicazione” ma soprattutto la concezione di nuovi patti per un equilibrio tra dinamiche produttive, insediamenti e consumi;
·        e infine un profilo sociale che è oggi modello di ricomposizione tra tradizione e diversità, dunque comprensivo di una cultura di accoglienza di nuovi bisogni sociali e di diversi problemi di inclusione rispetto al passato.
Puntualmente l’intensa discussione che si è prodotta ha consentito di far emergere spunti interessanti in ordine a tutte e tre queste dimensioni.
Cito solo i riferimenti tematici di contributi che mi pare abbiano segnalato una buona qualità del tessuto partecipativo della città, ovvero l’esistenza di una mediazione di soggetti socialmente e civilmente orientati così da rendere interessante e complesso il compito degli amministratori. Contributi, in definitiva, che presuppongono una domanda già radicata di democrazia partecipativa che non è una domanda di discussioni casuali ma un metodo di integrazione dei modelli di democrazia rappresentativa con regole e procedure definite e accettate dalla comunità.
Angelo Bianchi (di Cittadinanzattiva) ha appunto riproposto questo tema metodologico. Marcello Santantonio (Legambiente) è intervenuto sulla centralissima materia dei rifiuti, Aldo Paolicelli (WWF Italia) sui temi dell’approvvigionamento e della razionalizzazione energetica; Pierfrancesco Pellecchia (Italia Nostra) sulla relazione tra mobilità urbana e riqualificazione delle infrastrutture;  Luca Fortunato sulla tematica dei parchi e del verde urbano. E ancora Giuseppe Salluce (sistema cooperativo) ha affrontato i nodi di un piano sociale territoriale; Graziella Cornio (volontariato sociale) ha delineato il presidio al tema migratorio che oggi investe circa il 5% della demografia territoriale in condizioni di riuscita degli obiettivi di inclusione. Molto apprezzabili le osservazioni di Gianleo Josca (che opera nelle strutture regionali di servizio sociale) attorno alle responsabilità di delineare priorità nella conduzione del dibattito pubblico su queste materie. Ugualmente apprezzabili le conclusioni del coordinatore Roberto Cifarelli (Ente Parco) che immagina più adeguati strumenti amministrativi per fronteggiare questa “matrice”: la revisione dello statuto comunale, un metodo per l’ascolto analitico delle istanze partecipative (forse sono mature le condizioni per un assessorato alla comunicazione e alla partecipazione) e infine lo sdoppiamento del bilancio valorizzando anche la componente sociale.
Se posso intravedere qualche limite nella discussione – tenuto conto tuttavia della brevità del tempo assegnato e dunque della delimitazione tra spazio di proposta e spazio di contestualizzazione – esso è forse rintracciabile nella tenue definizione delle ragioni di quelle controparti sociali che sono essenziali per promuovere poi un patto di governo di nuovi equilibri (la componente di impresa, per esempio, rispetto al rapporto tra produzione, insediamenti e consumi e rispetto al rapporto tra qualità della vita urbana e velocità commerciale, eccetera). Ugualmente non si è potuta estendere una riflessione – che credo vada fatta su questa materia – sulla condizione mediatica del territorio, e cioè sui profili dell’attuale rappresentazione di questo genere di questioni. E – aggiungo qui, per stimolare seguiti – anche riflessioni sul rapporto tra queste istanze e una seria analisi di coerenza dei comportamenti politici delle forze in campo (di entrambi gli schermenti) e infine, sui bisogni formativi di dirigenti e operatori di pubblica utilità che il tema stesso della “sostenibilità” declina in forma nuova e interdisciplinare. Complessivamente però ci sono le basi per dare spessore a tutti questi elementi di essenziale contesto.
 
 
 
http://www.sassiland.com/notiziematera/?view=id&id=1449
 
La fondazione Basilicata Futuro fa il punto sul presente di Matera
Si è svolto nella giornata di ieri, sabato 20 febbraio, il workshop
domenica, 21 febbraio 2010
 
Aldo Paolicelli (WWF Italia)  
 
Si è svolto nella giornata di ieri, sabato 20 febbraio, il workshop denominato” Il governo della città – le idee” organizzato dalla Fondazione Basilicata Futuro. L’intento dell’incontro era quello di dare spazio, in chiave propositiva per la futura amministrazione, alle istanze di membri della società civile e del mondo associativo di Matera. Il tutto è stato organizzato, fra gli altri, anche grazie al lavoro di Eustacchio AntezzaRoberto Cifarelli. Come sede dell’incontro è stato scelto il chiostro delle Monacelle che, con le sue suggestive sale e la vista offerta sulla murgia materna, si è rivelato essere particolarmente indicato per un’iniziativa finalizzata a parlare di Matera, dei suoi problemi e delle sue possibilità.
L’apertura, curata da esimi docenti quali Fabrizio Barca, Fedele De Novellis e Stefano Rolando (presidente della Fondazione Nitti), nonché dal presidente della Fondazione Basilicata Futuro, Angelo Masi, ha subito dato uno spaccato tragicamente veritiero sulla situazione della nostra città, non mancando però di sfatare alcuni luoghi comuni. Il professor Fabrizio Barca, in particolare, citando un’autorevole ricerca della Banca d’Italia, ha rilevato come il problema di Matera, e del sud in generale, derivi da un’incapacità della classe dirigente meridionale di sfruttare a dovere i fondi ottenuti a livello nazionale prima e comunitario poi. Il tutto con una postilla, chiarita poi ulteriormente dagli altri due docenti: il sud non è la zavorra del nord , bensì una realtà con problemi che si inserisce in un paese che ha di suo delle enormi difficoltà, non scaricabili tout court sul meridione. Non è tutto. Le pretese piogge di denaro, baluardo di molti partiti radicati al nord, che vogliono dipingere un sud sanguisuga e parassita, non sono state intense come da sempre si è fatto credere all’opinione pubblica. Molti dei fondi promessi non sono mai arrivati e ciò non ha fatto che aggravare le difficoltà di una realtà che partiva in enorme svantaggio rispetto al settentrione d’Italia.
 Perché la politica, si chiedono i relatori del convegno, al quale è intervenuto dicendo la sua anche il parlamentare europeo Gianni Pittella, nonché il candidato sindaco Salvatore Adduce, da un po’ di anni ha accantonato la questione meridionale? Le ragioni sono molteplici. Innanzi tutto, i dirigenti dei partiti politici, di maggioranza e di opposizione,  sono del nord. Il sud manca di un leader che lo rappresenti orami da molti anni. Un leader che non deve avere (attenzione) intenti secessionisti, ma che sia in grado si raccontare in prima persona, nei palazzi del potere, quello che succede e ciò che andrebbe fatto. Se il fare prima l’interesse della realtà territoriale di appartenenza e in seguito quello di altre aree della nazione non è giustificabile è, però, certamente comprensibile. Oltre a quanto detto, non va sottovalutato che l’avere un sud arretrato è un utile capro espiatorio per giustificare la crisi del sistema paese, nonché, come abbiamo visto prima, un ottimo slogan elettorale. Ma la motivazione che più fa male e, al contempo, la più forte di tutte è certamente questa: i meridionali in possesso di un titolo di studio o, semplicemente, muniti di tanta voglia di lavorare, vanno ad arricchire la già notevole forza lavoro e professionale del nord, accrescendo ulteriormente il divario con il sud.
La medicina alla patologia che affligge il sud? Deve essere costituita da più elementi, in grado di relazionarsi tra loro. Innanzi tutto, una classe politica che rompa il conservatorismo che ha afflitto fino ad oggi il meridione e, quindi, anche la Basilicata e Matera. Una dirigenza politica capace, con coraggio e determinazione, di fare quelle riforme che, in altre aree del paese risalgono ormai a dieci anni fa. Ma anche la miglior politica concepibile poco potrebbe fare se non vi fosse il debito sostegno del governo centrale il quale, una volta tanto, dovrebbe smetterla di considerare il sud come un luogo da assistere e ne dovrebbe cogliere le potenzialità, le quali, del resto, sono sotto gli occhi di tutti, visto che la gran parte delle dirigenze di aziende ed enti del nord sono costituite da laureati del sud.
 

Al termine della chiarificante esposizione dei tre relatori, il workshop è proseguito con la costituzione di tre differenti sezioni nelle quali si è parlato: della città sostenibile, delle connessioni ecologiche e culturali, di università e ricerca, d’impresa come risorsa in evoluzione, di spazio rurale e della città dell’inclusione e della solidarietà. Per relazionare su questi temi sono stati interpellati membri delle associazioni operanti nei vari ambiti, il tutto all’attenzione dei relatori principali, i quali si sono divisi fra le varie sale, in modo da poter avere un quadro della realtà materana direttamente dai suoi cittadini. Quest’articolo è incentrato su quanto detto a proposito dei temi della città sostenibile e dell’inclusione sociale, nonché sulle connessioni ecologiche e culturali, dato che, chi vi scrive, ha avuto modo di ascoltare quanto detto su questi temi. La seduta si è aperta con una relazione del presidente della Legambiente di Matera, Marcello Santantonio, il quale ha fatto il punto sulla situazione rifiuti della nostra città. Egli ha dimostrato un cauto apprezzamento per l’avvio, dopo tanti anni, della raccolta differenzia nella nostra città ma, al contempo, ha fatto presenti i gravi deficit informativi dai quali questo nuovo modo di intendere il rifiuto è stato caratterizzato. Inoltre, tramite la proposizione di foto molto eloquenti, ha rilevato la disastrosa condizione della discarica de La Martella, ormai satura e caratterizzata da colline di rifiuti che, ha giustamente rilevato, anche volendo tralasciare il danno ambientale, non sono un bel biglietto da visita per chi arriva nella città patrimonio dell’UNESCO dalla strada di Gravina. Successivamente ha parlato Aldo Paolicelli, segretario del WWF Matera, il quale ha fatto presente all’amministrazione futura alcune possibili idee che potrebbero migliorare la situazione di Matera sul fronte energetico, prendendo spunto da quanto avviene in città più virtuose su questo piano, come ad esempio Trento. In primis, serve una graduale conversione degli edifici comunali a fonti rinnovabili, come il solare, per poi prevedere agevolazioni per i privati che dovessero prediligere il rinnovabile. In secundis, è necessaria maggiore attenzione al risparmio energetico in generale, in quanto sarebbe paradossale produrre in maniera ecocompatibile per poi perseverare con gli sprechi attuali. Già il risparmio sarebbe un primo guadagno in termini energetici. Le strade da percorre per attuare questa seconda finalità sono molteplici: un regolamento comunale che preveda dei vincoli sulle ristrutturazioni e nuove costruzioni, in modo da renderle ecocompatibili; una regolamentazione dell’illuminazione pubblica, con il graduale passaggio al sistema a led, più economico come consumi e duraturo, sebbene a fronte di una spesa iniziale maggiore. E’ in seguito intervenuto l’agronomo Luca Fortunato, il quale, forte di una sua esperienza nel censimento degli alberi a Matera, ha fatto presente la necessità di un piano del verde, speculare del piano urbanistico ma interamente finalizzato ad una programmazione di lunga durata nella cura e manutenzione dei parchi della città. Come ha giustamente rilevato, il problema che si affianca alla scarsa cultura del verde a Matera, è la pessima manutenzione degli alberi esistenti, in alcuni casi pericolosi, in quanto le loro radici, spesso, arrivano a sfiorare le tubazioni di gas e acqua delle abitazioni oppure sono inadatti al contesto nel quale sono stati impiantati. L’annoso problema della proliferazione delle erbacce estive nelle (poche) aree verdi materane potrebbe essere risolto con l’impianto di un manto erboso diverso, richiedente meno cura, che consentirebbe un’ammortizzazione rapida del costo d’impianto. Altri interventi sono stati curati dal prof. Angelo Bianchi, rappresentante di Cittadinanza Attiva, il quale ha rilevato come la nuova amministrazione dovrà curare il contatto con la popolazione, tramite la predisposizione di uno sportello di ascolto del cittadino, già esistente ma soppresso dalla precedente giunta, sebbene curato in maniera volontaria, affinché le distanze tra palazzo e collettività possano ridursi. Attenzione, però, è stato giustamente rilevato da Gianleo Iosca, a nome del CSV (Centro Servizi per il Volontariato), a non sfociare dal propositivismo al  protagonismo o individualismo.

 Le associazioni devono essere capaci esse stesse d’intendere la fattibilità delle loro proposte e, di conseguenza, capire che vi sono talune idee che, per la maggior utilità per la collettività , devono essere adempiute prima di altre. Tutta la discussione si è svolta sotto gli occhi attenti del prof. Stefano Rolando. Non meno interessati si sono rivelati gli altri due relatori, Fabrizio Barca e Fedele De Novellis, che hanno partecipato alle altre due sedute. Terminato l’incontro con il mondo associativo, i tre docenti hanno provveduto a trarre le loro conclusioni, anche alla luce di quanto appreso dai diretti interessati, di concerto con l’ex Presidente della Regione, Filippo Bubbico. Il tutto credo sia sintetizzabile da quanto detto dal prof. Fabrizio Barca: ” Mi fa piacere vedere una realtà propositiva, dinamica, attiva ma spero non si tratti di una pentola che bolle a 6000 metri a 70°. Dicendo questo voglio dire che queste potenzialità e volontà vanno tenute forti per tutto il corso dell’amministrazione e non deve trattarsi di proposte estemporanee che, poi, dagli stessi ideatori, verranno abbandonate finito questo incontro. Se volontà e capacità verranno confermate, con un’amministrazione attenta e responsabile, molto si potrà fare per Matera per migliorare la quale, ho visto con piacere, le idee non mancano“.