Conferenza del Club di Venezia – 14-15 novembre 2013 – Stefano Rolando Opening statement

CLUB OF VENICE
PLENARY MEETING, 14-15 novembre  2013
Venezia
Presidio militare dell’Esercito italiano – Caserma “Aristide Cornoldi”
Castello 4142 (Riva degli Schiavoni)
Opening Statement
Stefano Rolando
Presidente h. del Club di Venezia
Professore alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Iulm di Milano
Già direttore generale dell’Informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo italiano
 
 
Cari Amici e Colleghi,
do il benvenuto a tutti i presenti in questa nuova edizione del CdV che si svolge a Venezia nel 27° anno di vita di questo sodalizio che ha il merito di aver parlato in questi anni di una materia delicata – la comunicazione delle istituzioni – in stagioni diverse del processo europeo, consentendo a tutti noi – centinaia di funzionari e di operatori che si sono succeduti negli anni nel loro incarico – alcune cose importanti:
         conoscere meglio contenuti e contesti, da 9 che eravamo a 28 che ora siamo;
         capire meglio l’evoluzione dell’approccio non solo tecnico, ma anche politico, normativo, etico alla materia tanto nei paesi membri quanto nelle istituzioni europee;
         valutare l’andamento di un doppio rapporto che presenta sui due fronti sinergie ma anche conflittualità: quello con i cittadini e quello con i poteri politici.
 
Ringrazio i rappresentanti delle autorità locali che ci hanno dato il loro benvenuto e il Presidio militare dell’Esercito italiano che ospita quest’anno i lavori, essendo la Biblioteca Marciana qui vicina impossibilitata quest’anno ad ospitare la conferenza.
Ai Colleghi qui per la prima volta esprimo un particolare benvenuto
La regola di questi incontri è semplice: informalità e verità.
Non dobbiamo decidere nulla usando procedure di rappresentanza. E quindi con un evidente peso dei vincoli.
Ma possiamo decidere la cosa più importante: quella di capirci, avvicinando così – attraverso le nostre persone – un approccio che è metafora della qualità dei rapporti tra sistemi istituzionali e sistemi sociali, ora nell’età delle rete e della interattività ma in un quadro di esperienze che tuttora sono eredi del ‘900 e quindi eredi di molte e diverse formule.
Anzi – sintetizzando appunto il ‘900 – verrebbe da dire che sono eredi di due modi opposti di declinare la lettera P:
         la cultura della propaganda;
         la cultura della partecipazione.
 
Noi insegniamo oggi agli studenti, ai giovani funzionari, che per capire il doppio rapporto di lealtà – verso le istituzioni ma anche verso i cittadini – serve una formazione critica.
Che comprenda le ragioni storiche e politiche ma  anche il conflitto di interessi che sta dietro i processi di comunicazione, la relazione tra poteri e media, il criterio di formazione delle classi dirigenti nel settore pubblico.
E noi qui cerchiamo da anni di dimostrare – senza fare né troppa ideologia né troppa sociologia – che raccontare esperienze e valutarle costituisce una condizione di laboratorio necessaria per far crescere una visione appunto più critica del nostro lavoro.
Io l’ho fatto per molti anni, al servizio del governo, del sistema regionale, della mia città, di molte esperienze comunitarie. Oggi mantengo funzioni di advisor – in tutti questi livelli – ma ho scelto la prevalente professione del professore perché questo è un campo in cui si insegna meglio se si parte dall’esperienza per arrivare alla teoria e non il contrario.
Di questo vi parlerò più tardi;  perché di intesa con Vincenzo e Mike ho da fare una proposta al Club di Venezia, che riguarda la formazione condivisa.
Ora, invece, vorrei soffermarmi su due punti che ritengo importanti del programma di queste due giornate.
Come avete visto il programma è molto orientato ai temi organizzativi.
Sono quelli che fanno meno notizia all’esterno, ma sono quelli da cui più dipende al qualità dei processi funzionali che dipendono dalla comunicazione.
L’Europa resta disuguale in materia di comunicazione pubblica. C’è chi ha leggi e chi no. C’è chi ha ampliamento e integrazione di funzioni e chi agisce solo su settorialità. C’è chi ha reso obbligatoria la valutazione e chi no. C’è chi ha modelli orientati alla centralizzazione e chi al decentramento. C’è chi privilegia le funzioni giornalistiche, chi quelle relazionali.
Io da anni dico – e l’ho detto anche quest’anno a Europcom – che l’Europa dovrebbe far procedere un tentativo di redigere uno statuto professionale della figura del comunicatore pubblico che, pur con evidenti margini adattamento, tenda a creare un perimetro di funzioni condivise (e che rendono poi anche condivisi i processi formativi) nell’interesse dei nostri cittadini che hanno il diritto – anche in questi campi (non solo in quelli della moneta o delle dogane o delle procedure di sanità e di sicurezza alimentare) –  di essere trattati allo stesso modo (cittadini e imprese, si intende).
Ora il governo della Gran Bretagna – ne parlerà tra poco Aklex Aiken (ma farà riferimenti al tema certamente anche Erik den Hoedt) – ha reso obbligatoria la valutazione delle campagne pubbliche e quindi del loro rendimento. Economico e spero anche sociale. Se il tema della valutazione avesse un codice minimo condiviso in tutta Europa faremmo fare un salto di qualità enorme alla professione. Perché organici, budget e funzioni sarebbero relazionati non ai capricci o alle soggettività della politica ma a regole di servizio valutato nei confronti degli utenti.
 
Il secondo punto che vorrei toccare – credo che lo riprenderà Tom De Smedt nel suo intervento – riguarda la lettura esterna – cioè quella civile – del nostro lavoro, così come emerge da conferenze pubbliche (Europcom sta assumendo questo ruolo facendo convergere molti giovani che hanno bisogno di lavoro ma anche a di regole e di qualità). Ebbene io ho scritto un commento alla quarta edizione di Europcom osservando tre cose:
         che le voci “civili” (università, osservatori, esperti, media) che esprimono oggi valutazioni critiche sulla comunicazione pubblica sono importanti per dare trasparenza al dibattito professionale;
         che a Bruxelles si sono sentite soprattutto quelle di parte inglese;
         che i nodi che sono stati toccati sono: di non riuscire ancora a sfuggire alla autoreferenzialità, di non dare sufficiente valore aggiunto sociale all’informazione trasferita e di avere ancora troppa pressione di tipo propagandistico.
Qualcuno polemizzerà con questa critica, qualcuno sentirà di poter rispondere adeguatamente.
Ma io ricordo che la miglior risposta non la da l’operatore chiamato in causa ma il cittadino ascoltato in sede di valutazione tecnicamente oggettiva e rigorosa. 
E ricordo anche che non c’è Europa civile – quella che ci spinge a migliorare e che non insegue i difetti dei nostri stati nazionali – se non troviamo un modo di incoraggiare il dibattito professionale negli operatori pubblici che prenda sul serio questi temi.
Io ho provato a prendere sul serio questa critiche e ho scritto il mio nuovo testo di comunicazione pubblica che uscirà a fine anno dedicato al triangolo comunicazione – potere – cittadini provando a guardare dentro i nostri modelli organizzativi e cercando di vedere se stiamo ereditando più propaganda o più partecipazione dal ‘900.
Il contributo che può dare il CdV non deve essere assertivo o polemico. Ma basterà – anche in questi due giorni – raccontare le nostre esperienze per come sono, anche con i loro limiti, per rendere un buon servizio alla deontologia professionale che dovrebbe connotare il lavoro di tutti.
Con questo sentimento auguro successo a questo conferenza, ringraziando soprattutto chi ha messo impegno organizzativo – a cominciare da Vincenzo che si prodiga molto come sempre – e ringraziando fin da ora i nostri traduttori che sono molto preziosi per le nostre convergenze.