Comunicazione &Europa.Club of Venice (Tallinn,6-7giugno2013). Dossier interventi SR

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CLUB OF VENICE
Nota informativa [1]
 
Il 6 e il 7 giugno conferenza sullo stato della comunicazione pubblica in Europa
promossa dal Club of Venice presso il Parlamento nazionale estone a Tallinn.
Il primo ministro Ansip riceverà i partecipanti nella sede del Governo estone.
 
Confronto sul cambiamento del fare comunicazione in ambito pubblico.
Nuove frontiere: la democrazia partecipativa e il branding pubblico
 
Giovedì 6 e venerdì 7 giugno il Parlamento Estone (Riigikogu) a Tallin ospiterà la sessione primaverile dei meeting che da 28 anni il Club of Venice (dal nome della città in cui l’organismo è stato fondato nel 1986 e in cui si svolge annualmente, a novembre,  l’assemblea plenaria) promuove attorno al tema della comunicazione pubblica in Europa. Attorno al tavolo ventisette responsabili della comunicazione istituzionale nell’ambito dei governi  dei paesi della UE e delle istituzioni comunitarie (Parlamento, Commissione, Consiglio europeo, Comitato Regioni, Comitato Economico-Sociale e Banca Europea).
I lavori saranno aperti dai rappresentanti del Governo e del Parlamento dell’Estonia, paese membro della UE dal 2004 e che fa parte dell’eurozona;  dal saluto del direttore della comunicazione del governo estone Inga Bowdene da un intervento di Stefano Rolando, presidente onorario e fondatore di questo organismo (che ha il suo segretariato operativo presso il Consiglio UE) e professore universitario che  ha mantenuto il suo impegno a favore di questo organo di relazioni informali sul piano istituzionale. E tuttavia anche ambito di relazioni di sostanza per l’evoluzione della condizione professionale e disciplinare di un campo di attività in grande cambiamento in Europa e nel mondo. Un settore che le dinamiche comunicative in rete rendono potenzialmente più mirato al rapporto diretto e interattivo con la società e con vaste utenze di cittadini e imprese, ma che ha ancora pesi e vincoli su cui si discute in tutta Europa. 
Al termine dei lavori i partecipanti saranno ricevuti dal Primo ministro estone Andrus Ansip per un informale colloquio sui rapporti tra Estonia ed Europa.
Tre i temi principali di questa sessione: la potenzialità e i vincoli del “fare comunicazione” appartenendo alle pubbliche amministrazioni; lo spazio di armonizzazione dell’uso del web per informazione di pubblica utilità nel quadro europeo e soprattutto nello scenario della democrazia partecipativa; l’evoluzione della materia verso le applicazioni di branding pubblico, cioè verso attività di sostegno alla attrattività di territori, città e nazioni.
In materia di democrazia partecipativa key-note di Anthony Zacharewski, presidente di “Democratic Society” e un contributo di Rainer Nõlvak, presidente del Fondo estone per la natura. Sul setting  della pubblica amministrazione in materia di comunicazione, key-note del professor Rasmus Kleis Nielsen e contributi su “casi nazionali”: Olrich Köhn sul programma del governo tedesco in materia di “Dialogo con il cittadino”, Nicole Civatte (Francia) e Kevin Traverse-Healy (Gran Bretagna). In materia di reputation management e branding pubblico prevista la relazione di Simon Anholt, direttore dell’accreditato istituto inglese di misurazione dell’immagine di città e paesi che realizza annualmente i ranking per verificare l’evoluzione della percezione mondiale della reputazione applicata ai grandi contenitori identitari pubblici. E in materia di public diplomacy il contributo del sottosegretario danese Ole Egberg Mikkelsen. Infine – con sguardo alle elezioni europee del 2014 – previsti gli interventi dei responsabili delle relazioni con i cittadini delle istituzioni comunitarie, Stephen Clark (Parlamento) e Ylkva Tivéus (Commissione). Il segretario generale del Club of Venice Vincenzo le Voci ha nel frattempo annunciato il quadro degli impegni del sodalizio nel triennio 2013-2015, consultabile al link
Stefano Rolando, in vista dell’apertura della conferenza, ha osservato:
Quando diciamo che la comunicazione pubblica cambia in Europa, lo è certamente per i suoi obiettivi miglioramenti tecnologici e professionali. Ma ci sono ancora retaggi propagandistici nell’uso che talvolta le istituzioni, in Europa, fanno di un prezioso strumento di integrazione e di coesione. E ci sono ambiti di conflitto tra il lavoro di questi “architetti sociali” con alcuni segmenti di politica che vogliono avere voce da soli per i cittadini e talvolta qualche incomprensione con settori dell’alta burocrazia che in parte cambia e in parte tende ancora alla cultura del silenzio e del segreto. Il ruolo della UE diventa così prezioso. Ma in questo campo esso e’ ancora lento e prudente, scontando una fase difficile della stessa comunicazione sull’Europa. Certo analizzare contesti e problemi aiuta a connotare in meglio un cambiamento che contiene in sé in questo momento evoluzioni e stagnazioni”.
 
 
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CLUB OF VENICE
PLENARY MEETING, 6-7 June 2013
Tallinn, Estonia
Venue: Riigikogu (Estonian National Parliament), Lossi plats 1a
 
Opening Statement
Stefano Rolando [2]
 
Cari Amici, cari Colleghi, cari Partecipanti,
ringrazio i Rappresentanti del Governo e del Parlamento della Repubblica di Estonia per le parole di saluto e di accoglienza e ringrazio vivamente gli operatori del Settore Comunicazione del Governo per essersi adoperati – insieme al nostro Segretario Generale – per questa edizione primaverile del Club di Venezia – che abitualmente si svolge a turno in un Paese membro della UE. Per la prima volta dalla fondazione del Club, nel 1986, l’assemblea ha luogo in un paese baltico e dunque qui in Estonia, nella sua capitale Tallinn, che due anni fa è stata Capitale europea della Cultura, evento che – insieme al riconoscimento da parte dell’Unesco del centro storico della città come patrimonio culturale dell’Umanità – hanno contribuito a aumentare la conoscenza della città e del popolo estone in Europa e nel mondo.
Ora siamo arrivati qui anche noi e siamo lieti e onorati di fare la conoscenza con un angolo dell’Europa che è molto caro a tutti perché la sua storia – come la storia di tutti i nostri paesi – ha avuto pagine di libertà, ma anche pagine di dolore e di privazione della libertà. In particolare gli eventi della guerra mondiale hanno visto l’Estonia territorio di fragile convergenza di due imperialismi, quello nazista e quello staliniano.  E per lunghi decenni la libertà è stata una battaglia di pochi e un sentimento di tanti, fino a che la ricomposizione democratica del continente è avvenuta con esisti che in Estonia sono visibilmente positivi: non c’è debito pubblico, l’euro si è affermato, l’economia ha avuto una grande spinta dal rapporto tra ricerca e impresa e fa di questo Paese un tessuto tecnologicamente avanzato, la cultura e la comunicazione si sviluppano nel pluralismo e – tema essenziale per le regole democratiche europee – la politica si attua con libero confronto civile ed elettorale. Siamo anche grati al Primo Ministro estone Andrus Ansip che ci farà l’onore di riceverci nella sua sede al termine della nostra conferenza.
 
Ho conosciuto di persona uno dei più grandi giornalisti italiani del ‘900, Indro Montanelli. E la parola Estonia l’ho letta la prima volta – dopo i libri di geografia di scuola – nei suoi ricordi.  Montanelli nel 1937 era giornalista del quotidiano di Roma Il Messaggiero e scriveva corrispondenze sulla guerra civile spagnola che non piacevano a Mussolini, il dittatore fascista italiano (anche se Montanelli era stato simpatizzante fascista). Vedeva storie da vicino e le raccontava con verità. Mussolini lo fece espellere dall’Ordine dei giornalisti, cacciare dal giornale e fu mandato in punizione in esilio. Fece il lettore d’italiano nell’Università di Tartu e poi – ripescato dal ministro italiano della cultura Bottai, ma tenuto all’estero – diresse l’istituto italiano di cultura a Tallinn. Aveva un ricordo lieto di quell’esperienza e considerava i giovani estoni tutti studiosi. Aveva scritto:
Con mia grande sorpresa, potevo parlare nella mia lingua perché gli estoni le conoscevano quasi tutte, essendo assolutamente incomprensibile quella loro di radice ugro-finnica come quella finlandese, ungherese e turca, al cui ceppo etnico gli estoni appartengono e che è di discendenza mongola. Ma la facilità con cui apprendevano le lingue straniere era anche dovuta al fatto che per nove mesi all’anno non potevano far altro, dato il clima, che studiare. Studiavano tutti, anche i contadini, perché per nove mesi la terra era sepolta sotto metri di neve“.
 
Fatemi dire due parole sul nostro Club di Venezia, poi farò qualche cenno ai contenuti di questa sessione e poi mi limiterò ai saluti e ai ringraziamenti.
Innanzi tutto dico una cosa che sembra fatta apposta per inaugurare qui la sessione del Club di Venezia. Non so se tutti i presenti lo sanno, ma la città di Tallin è gemellata con altre dodici città nel mondo. E la prima dell’elenco è Venezia. Non mi pare solo una coincidenza.
Ebbene a Venezia, esattamente all’Isola di San Giorgio, situata davanti alla Basilica di San Marco, nel 1986 – insieme a una decina di Colleghi Capi della Comunicazione presso i primi ministri dei governi che allora componevano l’Unione Europea (erano 9, poi nell’81 era entrata la Grecia e in quel 1986 entrarono Spagna e Portogallo ma non si fece in tempo ad organizzare subito la loro presenza, i successivi ingressi furono nel 1995, quelli di Austria, Svezia e Finlandia), presi l’iniziativa di fondare un coordinamento stabile e informale, al quale venne a dare il suo appoggio l’allora Commissario europeo alla Cultura e all’Informazione Carlo Ripa di Meana.
Io avevo 38 anni e pensavo che i nostri Servizi Informazione fino a quaranta anni primi si erano combattuti militarmente, anzi erano stati delle armi – armi immateriali ma violente – usate gli uni contro gli altri. E poi per quaranta anni non si erano mai parlati. Perché ciascun governo considerava l’informazione un territorio di gelosie su cui non lasciare entrare l’armonizzazione comunitaria.
Noi rompevamo quel silenzio e pensavamo che l’unico modo possibile fosse quello di farlo informalmente. Conoscerci, parlare, confrontare profili professionali e organizzativi e non pretendere di decidere alcunché. Quello che stavamo per fare era già una decisione rivoluzionaria.
 
Tre anni dopo cadde il muro di Berlino. Sarebbe cambiata la storia dell’Europa. Ma i paesi dell’Est europeo sarebbero entrati nell’Unione con una certa lentezza: la Germania Est fu un caso in deroga nel processo di allargamento; il grosso dei paesi entrò nel 2004 (tra cui l’Estonia); Bulgaria e Romania nel 2007 e si aspetta la Croazia a breve. 
Tra il ’90 e il ’91 – con autorizzazione dei governi dei principali paesi fondatori e con informazione degli organi comunitari – il Club di Venezia lavorò di anticipazione. Aprì le porte dell’assemblea a annuale a Venezia ad alcuni dei paesi dell’est che cominciavano a ricostruire le loro strutture di informazione e comunicazione con un approccio non propagandistico e che mostravano interesse per modelli sperimentati in condizioni democratiche. Ungheria, Polonia, Cechia, poi Slovenia e  Romania, anticiparono di una dozzina di anni la partecipazione, che sarebbe stata formale solo dopo il 2004.
 
Dopo la decima edizione del CdV lasciai  volontariamente il mio incarico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Avevo lavorato alla televisione e tornai a fare altre esperienze: prima le telecomunicazioni, poi il sistema regionale (in cui ho fatto per alcuni anni il direttore generale a Milano e a Roma, sempre attento allo sviluppo delle funzioni comunicative e relazionali) e dal 2001 il lavoro all’Università – che continua finora – avendo ottenuto a Milano una delle prime cattedre di ruolo proprio sulla nostra materia, “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica”.
Più di recente la mia città, Milano, mi ha chiamato a presiedere il Comitato per il branding pubblico della città, in vista di Expo 2015, un approccio che ritengo sia una parte dell’evoluzione professionale della comunicazione pubblica (il controllo dell’immagine e dei processi di attrattività), come dimostra anche il nostro programma qui a Tallin in cui è stato invitato il mio amico Simon Anholt che scrive di identità competitiva e registra annualmente il posizionamento di città e nazioni in un interessante ranking sulla percezione mondiale di immagine dei territori.
Introducendo Simon in quella sessione, mi permetterò di dire qualche parola sul rapporto tra comunicazione pubblica e branding, un tema affascinante che coinvolge il carattere del racconto delle nostre città e dei nostri paesi.
 
Dal 1996 gli amici e colleghi del Club di Venezia mi hanno fatto l’onore di considerarmi loro presidente e lo Steering Commitee che si è formato – proprio per la natura informale del nostro lavoro – ha beneficiato di vari vice-presidenti che nel corso degli anni hanno dato un contributo importante ai nostri lavori. Tra di essi l’amico e collega Mike Granatt – già a capo del Central Office of Information britannico, ha retto il coordinamento operativo per molti anni e per fortuna da qualche tempo – dopo i 25 anni del Club festeggiati a Roma in occasione dei 50 anni dei Trattati di Roma cioè dell’atto costitutivo della stessa Comunità europea – c’è un giovane come Vincenzo Le Voci ad assicurare un raccordo operativo tra noi tutti molto valido.
La presenza si è allargata in modo importante. I paesi sono 27 e i capi della comunicazione dei governi si sono sempre succeduti con un ritmo fisiologico nel quadro dei cambiamenti politici che investono molto spesso anche l’organizzazione professionale apicale delle Amministrazioni. E si sono uniti i rappresentanti di tutte le istituzioni comunitarie, tra le quali alcune sono diventate promotrici di altre reti professionali europee. Come il Comitato delle Regioni che grazie al collega Laurent Thiele da vita da tre anni ad Europcom, con una convinta collaborazione con lo stesso Club of Venice.
 
Ventisette anni di evoluzione in Europa del rapporto comunicativo e relazionale tra istituzioni e cittadini sono una vera e propria storia con cambiamenti significativi.
Tenete conto che nei processi della comunicazione i cicli sono più brevi rispetto ad altri settori delle pubbliche amministrazioni sempre regolati dal diritto, ma in questo caso anche molto sollecitati dal cambiamento tecnologico e dalla spinta della domanda sociale. Cicli di tre, massimo quattro anni. Così da dire che nel nostro campo le cose sono cambiate completamente – in 27 anni – quasi una decina di volte. 
Cominciammo a parlare di pubblicità, mutuata dalle esperienze delle imprese, che alcuni paesi – come la Gran Bretagna – trattavano da anni con molta professionalità, ma che in altri paesi non era materia neppure concepibile da parte dello Stato e per un po’ ragionammo su superfici tradizionali di prodotto.
Ma poi si scoprì che il processo relazionale, l’accompagnamento sociale alla comprensione delle norme e all’accesso ai servizi, era più importante dei prodotto. E quanto ai prodotti dopo il ’95 internet divenne prima uno strumento, poi un complice dello sviluppo dell’interattività (non sempre gradito ai vertici delle pubbliche amministrazioni), poi un ambiente di lavoro e oggi un processo complessivo a rete in cui prodotti e processi convivono con una forma del “fare amministrazione” che rappresenta una nuova indispensabile forma e soprattutto una nuova cultura amministrativa:;
          quella storica è quella giuridica, applicata a funzioni di controllo;
          quella più evoluta è quella economica, applicata alla gestione dei servizi;
          quella che noi contribuiamo a sviluppare è quella relazionale, in cui si applicano nuove professioni pubbliche che io chiamo “gli architetti sociali”, cioè i generatori di ponti tra istituzioni e cittadini.

Dopo oltre un quarto di secolo molte sono state le parole dette, i contributi acquisiti, le percezioni – pur diverse – di come una funzione storica debba essere esercitata nella contemporaneità. Persiste ancora per qualcuno l’idea dell’araldo medioevale, quello che gira i villaggi a cavallo e con il tamburo, per leggere l’editto del principe quasi sempre per annunciare tasse o guerre. E’ una arretrata idea della comunicazione come propaganda
Ma per fortuna è cresciuta anche una idea sociale della professione del comunicatore pubblico che è distinta dal comunicatore politico (che mantiene nelle istituzioni il suo posto di portavoce, ma che ha connotati diversi) e che è distinta anche dal comunicatore di impresa che deve collocare il suo obiettivo nel fatturato di un processo puramente commerciale, anche se costruito su una reputazione e una immagine che sono concetti che hanno valore nell’economia di mercato ma anche nel rapporto tra Stati e città con i cittadini e con l’opinione pubblica.
Dunque le famiglie professionali della comunicazione si intersecano, si confrontano, si distinguono. Ma debbono conoscersi e imparare tecniche e sistemi gestionali l’una dalle altre.
Per questo anche la formazione è in grande evoluzione. E da alcuni anni io coltivo l’idea di generare nell’ambito del Club of Venice una summer shool in grado di tenere in rete coloro che nei nostri paesi insegnano questa materia. Ne parleremo.
 
Da alcuni anni noi diciamo che è matura la condizione per una aggiornata disciplina professionale e una adeguata disciplina formativa della comunicazione pubblica in Europa.
Un sistema di paesi in cui il cittadino dovrebbe essere trattato allo stesso modo, dai Baltici ai Balcani, dai Mari del Nord al Mare Mediterraneo, da Helsinki a Palermo.
L’Europa è lenta al riguardo, teme ancora la gelosia nazionale in materia di informazione.
Ed è per questo che le nostre conferenze servono. Mettono in emersione materiali preziosi, fondati sull’esperienza e sulla libera mutuazione di un processo di aggiornamento che prima o poi dovrebbe diventare patrimonio organizzativo e normativo di tutti. Non abbiamo mai forzato i tempi, perché convinti che la metabolizzazione degli sviluppi comunicativi deve fare i conti con la politica e con l’alta burocrazia, due mondi che possono essere sinergici ma anche conflittuali. E quando sono conflittuali il risultato è che la libertà di comunicazione si riduce, torna indietro, prende strade improprie. 
Ma prudenti, non vuol dire ciechi. E la condizione di stallo dell’Europa e della sua immagine (ho trattato più volte questo tema anche nelle sedi comunitarie) passa anche attraverso più coraggio comunicativo, più potere alla rappresentazione dei processi di interesse comune e generale.
Nel programma che è stato predisposto, per le due giornate di Tallin nella prestigiosa sede del Parlamento Estone, molti dei temi che ho qui appena accennato sono compresi.
Si parlerà di ruolo della democrazia partecipativa – in cui senza la comunicazione che motiva i processi partecipativi non c’è sviluppo ma finzione – si parlerà di specificità del ruolo dell’amministrazione civile, si parlerà di management dei processi di reputazione, si parlerà di nuove frontiere dell’interazione.
Soprattutto : si parlerà.
E’ questo il valore aggiunto principale che produce il Club di Venezia.
E per la cui condizione di realizzazione siamo grati a tutti coloro che hanno accolto l’invito a partecipare, ma specialmente a chi ha lavorato all’organizzazione e agli interpreti che faciliteranno il nostro lavoro.
Dunque,grazie e buon lavoro a tutti.
 
 
 
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Quattro note di commento a margine della Conferenza[3]
 
 
Il 6 e il 7 giugno al Parlamento estone di Tallinn si svolge la conferenza del Club of Venice sulla comunicazione pubblica in Europa, con delegati nazionali e comunitari e la partecipazione di studiosi e rappresentanti di soggetti civili. Stefano Rolando, presidente del CdV, partecipa ai lavori, introducendo la sessione. Sul blog de Linkiesta e sulla pagina FB di Rivista italiana di comunicazione pubblica da oggi a sabato note a margine della conferenza.
 
 

L’ombra del ‘900 e la scommessa delle nuove generazioni di operatori pubblici[4]
Stefano Rolando
 
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(Varsavia, 5 giugno 2013) – Per andare a Tallinn, la capitale più a nord dei paesi baltici, cioè l’Estonia, sorvolando la Germania e viaggiando via Varsavia, si è obbligati – se la storia del ‘900 ancora ci parla – ad attraversare le ombre di un secolo violento.
Tutta la fascia europea che fu teatro del duplice imperialismo – quello nazista e quello staliniano – ricorda ancora le lacrime dei popoli e il sangue dei perseguitati. Dal ’39 all’89 si staglia mezzo secolo di soprusi, di libertà confiscata, di omicidio identitario. Senza misurarsi con questo nodo del passato prossimo (anche se i giovanissimi lo percepiscono come passato remoto, ma basta un’occhiata alla vetrina della libreria Virgin in aeroporto a Varsavia per vedere una quantità di titoli sulla guerra, sul nazismo e sul comunismo) ancora oggi non si può ragionare di “Europa come soluzione”. E non si possono bilanciare le incertezze del presente che, almeno, lasciano tutti in una accettabile sovranità e in un potenziale diritto di concorrere alle scelte.
La conferenza che si apre domattina al Parlamento estone, promossa dal Club of Venice (nel suo 28° anno di vita) tocca un altro tema del confronto con la storia europea del ‘900: l’informazione nel rapporto tra potere e società. Il retaggio della propaganda è ancora esistente nell’esperienza europea, anche se la discontinuità delle culture democratiche è stata in verità netta. E la prassi comunitaria – pur se limitata dalle procedure, dai vincoli burocratici, dal realismo delle regole che governa necessariamente l’Unione Europea – ricostruisce ormai una certa trasparenza. Ma qui, soprattutto le nuove generazioni dei funzionari pubblici nazionali e comunitari, vorrebbe andare oltre. Vorrebbe cioè vivere la stagione della rete, quella del suo linguaggio epocale, ampliando libertà e dialogo. Ma la rete non basta invocarla. Bisogna praticarla. E le responsabilità delle istituzioni, di fronte alla democrazia anarchica della rete, provocano alcuni limiti.
Parlare di social networks nel quadro istituzionale europeo non è come farlo nello spensierato blogghismo giovanile. E tuttavia i programmi degli incontri – questo della conferenza di Tallinn per esempio – non risparmiano parole seducenti: democrazia partecipativa, identità competitiva, nuova società dei diritti e dell’informazione, eccetera. Ma pongono anche – e questo potrebbe essere un segno di serietà – il tema dei vincoli del “fare comunicazione” nella pubblica amministrazione.
I vincoli, guardando il programma di discussione proposto a Tallinn, paiono tre: l’ineludibilità e la variabilità del rapporto con la politica; la tendenza spesso conservatrice dell’alta burocrazia in genere (che accusata di essere ancora orientata alla cultura del “silenzio&segreto” si difende considerando inevitabile la cultura della “prudenza&riservatezza”); la parziale alfabetizzazione digitale degli operatori.
Per l’Europa il 2014 è anno di elezioni. E quindi di un certo ricambio di classi dirigenti chiamate a presidiare la parola “Europa”. Anche questo è un tema di dibattito. La ricerca di una formula di racconto che contenga e magari sconfigga l’ondata di euroscetticismo che è montata negli ultimi dieci anni. Questione non solo teorica, perché a parole tutti si riconoscono nella bandiera a dodici stelle. Il problema è che la crisi economica perdura e così i cittadini si dimenticano di riconoscersi come “europei” anche perché spesso molti governi tendono a scaricare sull’Europa la colpa della stretta su occupazione, redditi e consumi. Se la scelta delle rappresentanze (parlamentari, politici, consiglieri e tecnici) inclineranno ancora per le terze o quarte linee (prima vengono comunque i governi nazionali e locali) l’Europa avrà ancora presidi fragili, voci flebili, figure di apparato, incarnazioni culturalmente modeste.
Il buon esempio per un po’ di tempo lo hanno dato tedeschi, francesi e inglesi (questi ultimi freddi con l’europeità ma non stupidi nel mettere persone adeguate nei posti chiave). Gli italiani, pur capaci di alcune scelte di alto profilo, non vengono più considerati contributori forti di classe dirigente.
A Tallinn – e altrove in questo genere di conferenze – su questo argomento si sorvola un po’.
Ma magari in Italia il governo dell’europeista Letta potrebbe provare un colpo di tosse al riguardo.

L’ informalità e le verità[5]
Stefano Rolando

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(Tallinn, 6 giugno 2013). Nelle conferenze informali in realtà si parla “formalmente”. L’informalità’ sta piuttosto  nel fatto che poi non si deve decidere. Per questo sono più rilassate. Ma formali o informali che siano, si parla anche a margine. E si dicono ( e si sentono) cose che tendenzialmente non si mettono nelle relazioni.
I comunitari – soprattutto quelli che lavorano nel Parlamento europeo (Strasburgo e Bruxelles) – non si aspettano niente di buono dalle urne delle elezioni del 2014. Vedono sorgere come funghi gruppi che urlando contro l’Europa guadagnano voti. A destra come a sinistra. E se li aspettano tutti quanti – dai pirati tedeschi ai grillini italiani, dalla variopinta nuova destra razzista dei paesi dell’est alle recrudescenze olandesi, danesi e (udite!) irlandesi – sui banchi dell’Europarlamento. In cui c’e chi dice che o i quattro grandi (Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna) si impegnano oltre i limiti, o il teatrino comunitario uscirà da una certa politica e si consegnerà alla comunicazione, intesa come spettacolarizzazione della protesta (in un momento storico dove ciò ha anche le sue giustificazioni).
 
Quelli che lavorano alla Commissione sono entrati in un silenzio forzato. La Commissione e’ impopolare, non incide sulla crisi e sulla domanda di organizzare la ripresa, le lotte per la successione di Barroso hanno preso il sopravvento, la spinta comunicativa e’ al minimo storico.
 
Parrebbe che tutto il potere sia tornato ai tavoli intergovernativi, quelli regolati dal Consiglio (che dovrebbe chiamarsi “europeo”).  Persino Hollande di recente ha tirato stoccate alla Commissione e si aggiunge alle insoddisfazioni nazionali  verso la capacità di proposta di un organo di governo poverissimo di sovranità. Ma il Consiglio, che deve far convivere le diversità più che superarle, e’ il principale fautore della comunicazione di basso profilo.
Così i tre soggetti comunitari abbassano, ciascuno per ragioni diverse e tutti e tre in mutua polemica, la leva comunicativa. E lasciano ad un organo consultivo,  il Comitato delle Regioni, di tamponare la domanda di nuove politiche comunicative che l’ esercito degli operatori (centinaia di migliaia in tutta Europa nel campo della comunicazione pubblica) invoca con progressiva delusione. E’ il Comitato delle Regioni infatti a promuovere – quest’ anno per la quarta volta – EuropCom, che resta una palestra un po’ sospesa nel vuoto. Nel vuoto cioè di un’Europa che in questo campo studia, osserva, contiene, limita, ma soprattutto non spinge, non  decide e non innova politicamente. Il contrario esatto di quello che fanno i players mondiali concorrenti, a cominciare dagli USA.
 
C’e poi un europeismo che affianca le istituzioni comunitarie che di fronte allo stallo comunicativo vede nei prossimi assetti due “partiti” della protesta: quelli euroscettici e quelli eurofans. ” Questi ultimi – dice Raymond van Ermen direttore di EPE-European Partner for Enrivoronment (tra gli invitati parlanti a Tallinn) – perché il “sogno europeo” lo ha raccontato un non europeo come Rifkin, per colpa di una classe dirigente politica che non sa più valorizzare gli asset che la società e l’ economia europee ancora esprimono”. 
 
Questo – in grande sintesi – e’ un profilo catturato al volo di quello scenario generale dentro cui ci sarebbero anche tante cose buone, ma mancano in questo periodo la cornice e la benzina.
Tra chi parla informalmente, in una conferenza europea che e’ appunto “informale”, e’ la giovane delegazione turca (sono invitati al Club of Venice anche i paesi candidati ). Giovani operatori che, malgrado il ruolo governativo, oggi  a Tallinn tendono a non frenarsi: “E’ bene che ciò accada – dicono – un ciclo sta finendo e la questione e’ più generazionale che legata agli stereotipi dei media occidentali che leggono la Turchia solo come problema tra islamici e cristiani”. 

 
 
 
Il trattamento dei cittadini [6]
Stefano Rolando
 

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(Tallinn, 7 giugno 2013)Le parole “cittadini” e “cittadinanza” sono nel top ten del lessico convegnistico dell’Europa. Non c’e’ meeting, politico o economico che sia, che non veda campeggiare questo protagonista suo malgrado. Il protagonista, ben inteso, il più delle volte non c’e’. E’ presente per delega. Per ascolto praticato in precedenza o per rinvio della pratica, a mezzo media, dopo il meeting.
Eppure la fascinazione costituzionale degli europei vede qui una mitologia ancora viva e vegeta.
Per chi si occupa, di mestiere, di parlare a quei cittadini, verrebbe da dire, che e’ fatta, che quel mestiere dovrebbe a questo punto godere di legittimità e rispetto indiscussi. Soprattutto che attorno a quel “trattamento” l’Europa condivide metodo, approccio, regole, limiti e diritti.
 
E qui si apre, esattamente, la partita. Il cuore dice che il trattamento dovrebbe essere uguale e ben armonizzato dal Baltico ai Balcani, dalla Manica al Mediterraneo. Ma la ragione – e l’indomata machiavellica “ragion di Stato” soprattutto – non sopporta intromissioni. Se il sistema beneficia di una storia sociale che ha elevato quei diritti, non pare tollerabile rischiare un abbassamento per contaminazione con paesi meno civilizzati. Se il sistema e’ invece ancora un bel po’ piramidale, con la casta sopra e il popolo sotto, non  viene neanche in mente di farsi dettare dall’Europa un cambio di passo. A pensare bene e’ stata proprio questa contraddizione a non far passare il trattato costituzionale europeo, altro che il “plombier polonais“!
 
Nella conferenza europea a Tallinn il programma e’ largamente influenzato dal governo ospitante. E il programma prevede molti ospiti esponenti della società civile organizzata. Il rapporto Stato-cittadini ha prodotto nel ‘900 ampie ferite. E così nell’idea di comunicazione pubblica c’è ruolo per il sistema associativo che fa da diaframma tra poteri e società.
Il punto e’ che la gelosia nazionale sul trattamento dei cittadini ha creato ancora separazione nelle culture amministrative e nell’approccio al modello di funzione pubblica in Europa. Modello su cui le radici culturali generali dei paesi contano ancora molto. Paesi protestanti, cattolici e ortodossi qui mettono in mostra profili diversi della percezione non solo dei diritti in generale, ma anche delle responsabilità individuali, del senso del dovere, della priorità della moralità pubblica. Il cuneo agisce. E pesa sulla lentezza della costruzione dell’Europa. Figuriamoci se non pesa sulla “rappresentazione” di questa costruzione, che e’ appunto il campo di azione dell’attività comunicativa.
 
Da qualche tempo pongo – al Club of Venice e a EuropCom – il tema di lavorare sullo statuto professionale (skills e deontologia) e sullo statuto disciplinare (formazione) della materia. Senza ottenere grandi esiti. Pat, pat sulle spalle. Ma il dossier – come si dice – non  va avanti. Sarebbe venuto il momento di connettere qui ciò che resta del dibattito sulla riforma della pubblica amministrazione. Tema che sta più a cuore all’economia che alla politica, che non appassiona i media, che ha visto sfiduciati i giuristi e che ha perso la spinta della stagione “riformista” ( parola ormai archiviata).  E tuttavia…
 
 
 
 
Comunicazione e identità competitiva[7]
Stefano Rolando
 

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(Tallinn, 8 giugno 2013) – La conferenza di Tallinn, che ha spinto a nord i  meeting del Club of Venice (sulla comunicazione pubblica in Europa) d’abitudine tra Bruxelles e Venezia, ha visto inevitabilmente un certo protagonismo anglosassone nei contenuti  e dei paesi del centro-est europeo per le presenze  diffuse. Segnalando, per questi ultimi, il rinnovamento e il ringiovanimento delle loro pubbliche amministrazioni. Avere rotto con il comunismo ha creato in molti paesi dell’est  discontinuità profonde negli apparati pubblici di cui ancora adesso si avvertono i segni.

Vedendo l’ Europa da qui – l’ Estonia non e’ un paese indebitato, c’è crescita e l’euro tiene – la coesistenza tra identità nazionale ed europea pare abbastanza virtuosa. Non puoi chiedere a paesi che hanno avuto l’identità nazionale confiscata dai sovietici di perdere di vista la loro bandiera, a lungo bramata. Puoi proporre una ragionevole coesistenza identitaria qui senza correre il rischio che si corre nei maggiori paesi dell’est della UE di vedere scaricata su Bruxelles ogni tossina per la propria condizione economica, per lo più fragile se non a marcia indietro.
E vedendo l’ Europa da qui perdi un po’ di vista di vista il Mediterraneo. Intanto in conferenze di questo genere – in cui per tedeschi, inglesi e danesi e’ importante esserci – di tutta la fascia sud si salvano solo presenze d’ufficio francesi e italiane. E poi pare che ci sia solo il turismo a tenere le fila delle relazioni. Lingua, cultura, spettacolo, politica, media, insomma tutto il sistema della “rappresentazione” e’ attraversato molto poco dall’Europa neo-latina.
 
E’ in questo scenario che ha avuto buon gioco Simon Anholt, ospite della sessione di chiusura, per spingere la visione della comunicazione pubblica – fin qui prevalentemente centrata su servizi, accesso, applicazione normativa – verso i temi della lotta per l’attrattività’.
Simon Anholt e’ un giovane professionista inglese, ricercatore abile nella campionatura dell’opinione pubblica planetaria, sposato con un’italiana, che dalla fine degli anni ’90 misura il modo con cui il mondo immagina se stesso. Dice che ha raccolto un miliardo e mezzo di dati su questo tema. Chissà come ha contato questa cifra. Comunque cerca un luogo per depositare questo patrimonio e guardare a scavi più profondi su questa materia, cioè non solo legati ai ranking trimestrali. Ha lavorato per il governo della Toscana e da buon  inglese non vede posto migliore per il suo futuro. Abbiamo fatto qualche supposizione e messo un post-it nella nostra agenda.
 
Il momento storico che lui descrive e’ quello di una lenta curva discendente della forte immagine mondiale dell’Occidente e dell’ Europa in particolare a vantaggio di nuovi paesi entranti (entranti cioè con successo nell’immaginario planetario) con particolare spinta per quelli dell’area Brics. Gli europei ( e gli americani) stanno ancora nel top ten, i Brics sono  entrati nella fascia dal 20 al 25 posto.  Il fenomeno sta prendendo velocità. Chi riesce a capire e a intervenire in un processo che non risponde a atti di propaganda e di autoritarismo governativo, ma può dar retta a fenomeni sociali dal basso che possono  essere intelligentemente stimolati, può rendere questa curva meno punitiva per i propri interessi : attrazione di investimenti, di turismo, di studenti e professori dall’estero, di buone idee e di occasioni competitive. Ecco il senso di lavorare in modo meno occasionale e superficiale su quel genere di dati. Ed ecco il senso di mettere anche i territori intermedi ( le regioni e le grandi città) in condizione di avere un ruolo nella partita.
 
La lezione di Simon riguarda anche i grandi eventi ( lui ha lavorato nel team di racconto inglese in occasione della Olimpiadi di Londra del 2012) che non sempre e necessariamente hanno il potere di cambiare e migliorare l’immagine. Possono anche lasciare indifferente l’opinione pubblica mondiale e sbagliando alcuni  tasti (ovvero non prevedendoli)  possono fare guai rispetto a certi ambiti  internazionali (lo e’ stato, per Londra, ad esempio,  rispetto alla percezione di immagine dei brasiliani).
Come forse si e’ capito, quando si dice che certi processi possono essere stimolati nella società, tra le imprese, nelle associazioni,  tra i soggetti sociali, questo e’ propriamente un nuovo campo di azione della comunicazione pubblica. Sapendolo  progettare e gestire – come si comincia a fare in giro per il mondo – si ottengono risultati che hanno sicuramente dividendi sociali ed economici.

 


[1] Nota diramata da: Vincenzo le Voci, Segretario Generale del Club of Venice – EU Council Secretariat DG F- Information Policy office no. 0050.HN.50 rue de la Loi, 175 – B-1048 Brussels tel. (+32) (0) 2 281.69.30 ; fax (+32) (0)2 281.63.61 mobile (+32) (0) 475-75.69.45 e-mail : vincenzo.levoci@consilium.europa.eu
 
[2] Presidente onorario del Club of Venice, professore di Scienze della Comunicazione alla IULM University di Milano, già direttore generale dell’Informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo italiano.
 
[3] Pubblicate nel magazine on line Linkiesta dal 5 all’9 giugno 2013