Comunicato di Mondoperaio: esce su 6/2009 colloquio con Manlio Cancogni di Stefano Rolando
Lunga intervista a Manlio Cancogni di Stefano Rolando in Mondoperaio n 6/2009 (settembre)
Nel numero di settembre di Mondoperaio, la rivista mensile fondata da Pietro Nenni e diretta da Luigi Covatta, in distribuzione questa settimana, verrà pubblicata una lunga intervista a Manlio Cancogni a cura di Stefano Rolando.
Lo scrittore versiliese che ora ha 93 anni, conferma fra l’altro il suo amore per l’Italia “nonostante tutto”, per la Versilia “nonostante i versiliesi”, per i poeti italiani “nonostante il Nobel a Fo”.
Dissacrante il suo giudizio sulla libera circolazione delle idee: “Non si è mai detto, ma ritengo che non ci sia mai stata tanta libertà di circolazione di testi come durante il fascismo. Molto più che negli anni di asservimento intellettuale degli italiani in larga parte del dopoguerra. Un vero e proprio conformismo culturale”. E ricorda non solo la Treccani di Gentile che “è stata fatta da antifascisti, tutti quelli che non potevano insegnare per ragioni politiche ebbero la possibilità di lavorare lì”, e la cinematografia (“Rossellini, Monicelli, tanti altri, si formarono in quel clima”), ma si riferisce “proprio alla circolazione di una vasta editoria pluralista”, perché “si poteva leggere il Manifesto dei comunisti, era in calce ai testi di Labriola, che circolavano. Si poteva leggere la storia moderna del Giappone fatta da studiosi comunisti, si poteva leggere il Napoleone di Tarle, storico ucraino, e il suo 1812. Si poteva leggere la Storia della rivoluzione francese di Mathiez, marxista. Tutto ciò si trovava nelle librerie, nelle edizioni Corticelli. Quando dissi queste cose in conferenze varie negli anni settanta mi presero per un provocatore. Infatti “nel dopoguerra si è fatto terrorismo culturale. Quel terrore che così facilmente prende gli intellettuali quando temono di non essere in accordo con i tempi”.
Cancogni ricorda anche la famosa inchiesta Capitale corrotta-Nazione infetta pubblicata sul l’Espresso di Benedetti: “Fu un po’ un caso. Benedetti mi disse che, dopo un paio di mesi di avvio del nuovo giornale a Roma, sentiva l’esigenza di stabilire qualche contatto con la città. Anzi mi disse di fare un amabile ritratto del sindaco Rebecchini che sembrava appunto una persona amabile. Io andai a cercare il sindaco che per due se non per tre volte mancò all’appuntamento. Questo lasso di tempo, attraverso quel giro che sta attorno ai giornali che fornisce informazioni, mi mise di fronte ai fatti, di come l’edilizia a Roma non seguisse le leggi dell’urbanistica ma gli interessi dei palazzinari. Indagai su come agissero e l’articolo cambiò di fondo avendo per sottotitolo Dietro il sorriso di Rebecchini. Mi beccai subito la querela non di Rebecchini ma dell’Immobiliare, per due dettagli minimi. Uno che avevo detto che l’Immobiliare aveva creato delle società a catena. Non sapevo che fossero proibite e con quelle parole li accusavo di un reato. Poi avevo detto che aveva cercato di alleggerire il peso fiscale. Detto più garbatamente di così di gente che non pagava le tasse!”.
Con la consueta schiettezza descrive anche il suo primo incontro con Nenni: “Guardi, nel ’58 io lasciai il Mattino dell’Italia centrale, era finita l’esperienza dell’Europeo, ero senza partito. Mi sentivo orientato all’area socialista. Ed ebbi l’occasione di dire questo mio pensiero a un gruppetto di socialisti di Pietrasanta. La reazione fu così incoraggiante che nel 1959 mi iscrissi al Partito Socialista, dopo Pralognan quando certamente i socialisti avevano rotto i ponti con i comunisti. Un esponente locale del PSI era Leonetto Amadei, che poi fu a lungo parlamentare e presidente della Corte Costituzionale e che era marito di mia cugina, una Cancogni. E il buon Leonetto, quando lo seppe, ne parlò a Nenni che mi fece la cortesia di una lettera di apprezzamento. Così che quando nello stesso ’59 Benedetti mi chiese di andare in Spagna a fare un reportage sulla situazione del franchismo, che sarebbe stata anche una introduzione a una storia della guerra civile, Benedetti mi incoraggiò ad andare a trovare Nenni che aveva avuto in Spagna un ruolo importante scrivendo anche un bel libro di memorie. Nenni abitava in vacanza nella villetta di Remigio Paone a Formia. Mi accolse molto bene. Saranno state le 11 e mezza della mattina. Parlammo di fatti e persone. Di leader che aveva conosciuto. Poi, passato mezzogiorno, rientrò in casa per parlare con la moglie, Carmen. Credo per ottenere il permesso a trattenermi a pranzo. Permesso tuttavia non concesso. Così che Nenni ritornato a colloquio cominciò a fare il distratto, sfogliando un giornale mentre io parlavo. Compresi al volo e dissi che era ora di andare. Nenni disse che c’era un treno a tale ora e che, avendo anche un po’ di tempo, avrei potuto andare ad un ristorante in stazione. Questo fu il mio rapporto con il compagno Nenni”.
Cancogni non si sottrae neanche al giudizio su Berlusconi: “Berlusconi è una specie di presidente all’americana…ma in sostanza lo ritengo un caso patetico inventato e tenuto in vita dalla sinistra italiana, che potrebbe portarlo fino alla monarchia. I suoi avversari gestiscono così male le cose che lui fa e fa anche male, fino ad aumentargli la personalità. Poi per me Berlusconi è brutto ,per lui ho una avversione sostanzialmente estetica”.
Infine lo scrittore confessa di aver buttato via sette romanzi (“che per la verità non mi piacevano”) e un intero epistolario con Carlo Cassola.