Club of Venice, Istanbul 29 aprile 2010 – Stefano Rolando, Opening statament (in lingua italiana)

Club of Venice
Istanbul, 29-30 aprile 2010
Opening statement
Stefano Rolando
Presidente h. CDV e professore di “Comunicazione pubblica” all’Università IULM di Milano
 
 
Signor Sindaco della Città metropolitana di Istanbul Kadir Topba?, Signor Direttore generale della Stampa e dell’Informazione presso il Primo Ministro di Turchia  Murat Karakaya, caro amico Vice Presidente  del Club of Venice  Hans Brunmayr, cari amici e colleghi membri.
 
Esprimo poche e sentite parole di ringraziamento per questa conferenza del CDV a Istanbul.
Con particolare riconoscenza per chi – in sintonia con il nostro Coordinatore Mike Granatt e grazie all’efficace abituale operatività dell’amico Vincenzo Le Voci del Consiglio dell’Unione europea – ha concretamente agito per la riuscita dell’evento.
 
Vorrei dire, prima di ogni altra cosa, un pensiero di “incantamento” – come dicono gli spagnoli – a nome di tutti, per essere qui a Istanbul, nell’anno in cui questa città ottiene il meritato titolo di “capitale europea della cultura”.
 
Vi leggo una breve citazione che fa capire una delle tante ragioni di questa parola “meritato”: Ho trascorso la mia vita ad Istanbul, sulla riva europea, nelle case che si affacciavano sull’altra riva, l’Asia. Stare vicino all’acqua, guardando la riva di fronte, l’altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme. Ho capito che il meglio era essere un ponte fra due rive. Rivolgersi alle due rive senza appartenere “.
 
Come avrete tutti compreso si tratta di Orhan Pamuk, nel suo Istanbul, del 2003.
Questo libro è entrato nelle nostre case e nelle nostre vite, come i grandi classici.
Dobbiamo ammettere che spesso gli artisti, gli scrittori, i registi del cinema, hanno più forza nell’incidere sul “brand management” dei comunicatori, che pure lo fanno di professione.
Vorrei anche dire subito che il titolo di “capitale europea della cultura” – che Istanbul condivide nel 2010 con Essen e Pecs – è di per sé un forte incoraggiamento nel percorso di piena integrazione della Turchia in Europa.
So che sull’argomento vi sono diversità di vedute – ovvero sui modi e sui tempi – nei governi europei,  soprattutto a causa dei contesti politici interni.
Non è questa la sede né sono io la persona per affrontare uno dei punti importanti del futuro dell’Europa. Ma è questa la sede e sono io la persona per esprimere il rallegramento di tutti i presenti per il fatto che è stato possibile convocare qui il nostro libero – ma anche rappresentativo – tavolo di lavoro e di riflessione.
Questa convocazione avviene in un quadro in cui vi è certamente più Europa in Turchia e più Turchia in Europa.
E consente anche di esprime una agenda dei lavori che accomuna operatori professionali e istituzionali di contesti democratici in una questione – la comunicazione di crisi – che riguarda molti aspetti.
Essa infatti riguarda :
  • la democrazia politica (perché tocca il principio della sicurezza);
  • la democrazia sociale e ambientale (perchè tocca il principio della sostenibilità);
  • la democrazia economica e del lavoro (perchè tocca il principio del rischio connaturato alle dinamiche produttive).
 
Oggi la realtà dei contesti di crisi e di emergenza è diventata un ambito di formazione della classe dirigente moderna. Nelle aziende e nelle istituzioni. E la gestione comunicativa delle crisi – su cui il nostro coordinatore Mike Granatt (purtroppo oggi assente a causa di sopraggiunti imprevisti impegni a Londra) ha dato lezioni a tutti noi in questi anni – è diventata lo spartiacque tra chi ritiene che governare sia prevenire e garantire e chi ritiene che governare sia inseguire il destino per maledirlo.
Un vero spartiacque tra il medioevo e la modernità.
 
Il nostro CDV discute da 25 anni su temi concreti dell’evoluzione della comunicazione pubblica. Questo tema – insieme ai servizi a cittadini e imprese, alla innovazione tecnologica, alle procedure per la democrazia partecipativa e all’allargamento della cultura della legalità – è diventato un sillabario europeo della comunicazione pubblica. Che – se posso dire in sintesi – cerca di sottrarsi alla retorica e al ruolo della propaganda.
 
Perché il tema è all’ordine del giorno nel meeting di Istanbul?
Credo soprattutto perché pensiamo che sarà la grande Europa a dare risposte ad una ulteriore evoluzione della comunicazione pubblica. Essa non ha applicazioni ancora uniformi nei nostri paesi. Si scontano storie diverse e quindi un rapporto diverso con la domanda sociale di informazione. Ma i parametri della nostra capacity building hanno ormai anche una soglia minima condivisa. E questa è una garanzia per i cittadini. Alla cittadinanza europea devono infatti corrispondere servizi di base omogenei, tra cui quello dell’informazione pubblica (e, fatemi aggiungere, anche la statistica) ha ormai carattere primario.
Nella nostra grande Europa, nel passato, quella informazione, quella statistica, quella comunicazione hanno avuto trattamenti anche manipolati, servendo a volte a violenze e aggressività, oppure diventando oggetto di omissioni.
Noi – lo abbiamo detto molte volte – rivendichiamo il carattere etico e professionale di un moderno servizio al cittadino per un mestiere che, nella storia, si è rivelato anche contro il cittadino o comunque in varie occasioni ad esclusivo servizio al potere.
 
L’agenda di questa sessione è molto importante.
Non entro ulteriormente nel merito. Ma auguro il miglior successo al nostro dialogo, che verrà moderato da Hans Brunmayr. Ringraziando sin da ora tutti, ma soprattutto i relatori che si sono preparati e gli interpreti che mettono sempre a disposizione i loro strumenti di avvicinamento e comprensione.
 
Vorrei dire in conclusione che ho recentemente presentato – in una sede comunitaria – il libro di un’amica storica dedicato alla presa di Famagosta da parte delle armate ottomane che assediarono nel 1571 i veneziani comandati dall’ammiraglio Marco Antonio Bragadin. Bragadin finì spellato vivo e decapitato. Quella battaglia poi portò alla riscossa delle armate cristiane, a guida spagnola, a Lepanto dove si fermò la tendenza all’espansione a ovest dell’Impero ottomano.
Quando ne ho parlato ho ricevuto gli apprezzamenti del Console generale turco a Milano, lì presente, per avere sostenuto che qualunque paese e popolo europeo ha storie di questo genere l’un contro l’altro nel proprio passato.
 E che oggi la comunicazione e la cultura hanno il compito di ribaltare le storie di conflitti nella percezione comune dei dolori che quei conflitti hanno procurato all’umanità, certo anche spingendo cambiamenti e innovazioni. Trovando, in sostanza, ragioni identitarie per capire il movimento fiducioso della storia.
 
Grazie a tutti per la presenza qui. E a tutti buon lavoro.

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stefano.rolando@yahoo.it