Club di Venezia, 27-29 maggio 2009. Opening statement
CLUB of VENICE
Paris, 27-29 maggio 2009
Opening statement
Stefano Rolando
Presidente h. CDV
Saluto e ringrazio tutti i partecipanti a questa importante sessione promossa dal Servizio Informazione del Governo francese a cui il Coordinamento del Club of Venice (Mike Granatt con la preziosa collaborazione di Vincenzo Le Voci) ha pienamente aderito e contribuito.
Ringrazio in particolar modo Thierry Saussez e tutti i suoi collaboratori per l’eccellente impianto progettuale della sessione e per la qualità dell’accoglienza.
Il Club of Venice è al 23° anno di operatività, la scheda della “lunga marcia” segna qui a Parigi il 45° meeting (il primo a Parigi si svolse nel 1989, collateralmente alle Assise Europee dell’Audiovisivo, alla cui realizzazione io stesso collaborai strettamente insieme al mio amico amb. Bernard Miyet che poi fu vicesegretario generale delle Nazioni Unite e ora presiede la Sacem francese), ed è con naturale soddisfazione che registro la sua vitalità e l’adesione di tutti i colleghi che hanno responsabilità nei 27 paesi dell’Unione Europea e in tutte le istituzioni comunitarie. Colgo infatti – con viva soddisfazione – l’ en plein partecipativo, 26 membri su 27 (essendo i tedeschi impegnati in un doppio turno elettorale), tutto lo Steering Comitee (la sola Mieke van den Berghe ha avuto problemi all’ultimo momento) e al più alto livello delle responsabilità operative tutte le istituzioni comunitarie. Tutti sanno, per antica scelta, quanto sia apprezzata in questa sede anche la presenza dei colleghi della Turchia, che ringrazio anche per le loro proposte.
Un carattere informale, quello del CdV, che ha permesso di superare rigidità riguardo all’importanza di un dialogo che è prima di tutto professionale e che ha avuto e ha per scopo la “contaminazione” nell’approccio metodologico, organizzativo, culturale di strutture che hanno sempre agito in modo differenziato.
Ma che oggi affrontano sempre più problemi comuni e che cercano quindi di rendere una operatività coerente con la visione di tali obiettivi comuni.
C’è sempre da apprendere in questo campo. E il miglior apprendimento lo si fa proprio misurando, comparando, la propria azione con quella dei colleghi.
Questo aspetto del confronto delle best pratices avrà un suo spazio anche in questa sessione.
Richiamo l’attenzione dei presenti su pochi punti – che sono comunque ben centrati dal programma messo a punto per questi giorni (dopo l’interessante anticipazione fatta ieri in materia di public diplomacy) – che ritengo diano un’idea del contesto in cui la comunicazione istituzionale attraversa oggi la sua fase al tempo stesso matura e in transizione nel quadro europeo.
Richiamo l’attenzione dei presenti su pochi punti – che sono comunque ben centrati dal programma messo a punto per questi giorni (dopo l’interessante anticipazione fatta ieri in materia di public diplomacy) – che ritengo diano un’idea del contesto in cui la comunicazione istituzionale attraversa oggi la sua fase al tempo stesso matura e in transizione nel quadro europeo.
· Il primo punto è la responsabilità di agire in un contesto di crisi economica dichiarata (Tierry Saussez l’ha detto chiaramente nel suo precedente saluto), dunque di crescita ferma e di conseguenze sul piano sociale, produttivo e occupazionale dei nostri paesi, che è un segnale dappertutto di stimolo per avvicinare decisori pubblici e privati in scelte che fronteggino le crisi e aiutino ad uscirne. Questo ambito, per chi fa comunicazione, spinge ad un maggior ascolto della società civile e dell’impresa, ad una comprensione della complessità del quadro sociale, a una idea di “pubblica amministrazione” che deve abbandonare ogni autoreferenzialità e ogni idea di soprammondo. Detto con chiarezza, è definitivamente ovvio che comunicazione pubblica non vuol dire “rappresentazione del potere” ma della dinamica interattiva tra istituzioni e società.
· Il secondo punto è l’avanzata del processo di disintermediazione (proprio rispetto all’antico vincolo dei media) nel rapporto tra istituzioni e cittadini, dunque al ruolo che l’innovazione tecnologica ha, insieme a programmi di democrazia partecipativa, per costruire relazioni interattive, di accompagnamento non solo all’attuazione delle leggi ma anche alla tutela di valori e diritti che regolano processi di legalità, di socialità, di solidarietà, di competitività. Qui sta il lavoro che il Club of Venice ha aperto negli ultimi tempi (il recente seminario di Bruxelles e una parte dei lavori ora a Parigi) su web 2.0 in transizione verso web 3.0. Non solo il ruolo dei social network ma anche la ricerca di format che consentano il pluralismo delle fonti. Qui si tratta di agire il più possibile insieme per approfittare tutti e subito delle fasi di avanzamento del rapporto tra tecnologie e metodologie comunicative per non creare una geografia dei servizi pubblici con alcuni radicati in un millennio e altri in un altro millennio.
· Il terzo punto riguarda l’Europa che convive con la dimensione inter-governativa ma che è anche luogo istituzionale e dunque “soggetto” che precede e influenza una parte ormai larga e importante dei sistemi decisionali nazionali. In questa Europa la pratica comunicativa istituzionale si avvicina e tende a concepire un servizio omogeneo al cittadino europeo. Qui sta un tavolo di lavoro che pareva inconcepibile alcuni anni fa ma che ora rende lo stesso Club of Venice uno strumento prezioso. Qui prende senso il dialogo tra istituzioni comunitarie e paesi membri che nel CdV si svolge con una competenza e un “addentramento” che raramente si riscontra nel “Gruppo Informazione” ufficiale che opera a Bruxelles.
· Il quarto punto – per me quello di sintesi generale – riguarda l’avvicinamento in atto delle culture professionali della comunicazione che hanno fino a qualche tempo eretto barriere di differenze e di distinzione tra comunicazione sociale, comunicazione politica, comunicazione istituzionale e anche comunicazione di impresa. Le quattro “gambe” della comunicazione si sono avvicinate perché esse restano distinte quando in gioco sono i prodotti ma si avvicinano e si integrano quando, come detto prima, in gioco sono i processi. E se si guarda al nostro stesso programma di lavoro i processi sono assai più presenti come tema di discussione.
Limito a questi punti il segnale di attenzione per l’evoluzione del nostro dialogo.
Un dialogo che riguarda le istituzioni, i luoghi di formazione (e, come sapete, io faccio parte di quel network piuttosto in crescita di università che hanno a cuore la nostra materia) e i luoghi professionali delle attività comunicative. Vi è un dialogo verticale su cui riflettiamo da tempo, che investe il rapporto con i collaboratori ma, sopra, anche con i decisori politici. Ma vi è sempre più anche un dialogo orizzontale che riguarda media, associazioni, soggetti di impresa e centri culturali e formativi. Lo stare in rete deve anche agevolare questi dialoghi.
Credo che il nuovo Parlamento europeo e la nuova Commissione – oltre che il Consiglio e gli Organi consultivi comunitari – potranno consolidare il loro approccio al Club of Venice, non solo limitandolo allo svolgimento dei nostri meeting, ma anche utilizzando il perimetro di consultazione che potenzialmente questo sodalizio rappresenta per uno sguardo più strategico e – permettetemi l’espressione di sintesi – più sociale e meno burocratico che la comunicazione pubblica deve rappresentare.
Rinnovo i ringraziamenti e auguro a tutti un buon lavoro.