Chiose dalla panchina (dopo il 3 marzo) e riscontri. N. 1 e 2

Chiose dalla panchina
Osservazioni di un candidato deposto e qualche riscontro

 

Nuntio vobis

 

Se le newsletter erano l’artiglieria (sic!) della legittima battaglia, esse devono cessare nella loro forma intestata e programmata e lasciare il passo ad una forma più individuale e forse anche casuale di commento. Cedo all’invito di qualche amico a continuare la “presa diretta” su eventi che intanto fanno clamore anche per il ruolo che la parte politica che ha sostenuto la mia candidatura sta svolgendo diciamo la verità un po’ contro tutti e  con enormi questioni scoperchiate. Giudico tale la battaglia innanzi tutto culturale che si sta aprendo tra chi pensa che democrazia sostanziale e democrazia formale siano separabili e chi no.
Il format ora adottato è dunque quello delle “Chiose dalla panchina”. Anche esse saranno numerate e inviate al mio mailing. Desterà un po’ meno attenzione credo la voce di un cittadino escluso dal diritto elettorale passivo, rispetto ad un contendente. Ma, pazienza. Ce se ne farà una ragione.

 

Chiosa dalla panchina n. 1
Milano e Roma, quinte di teatro

3 marzo 2010  h. 18.00 alla rete e su FB
 
Per osservare la scena che si va delineando nell’esplosione teatrale dell’invalidazione delle liste a Milano e a Roma bisogna far ricorso a descrizioni su cui la stampa almeno oggi sorvola.
La quinta romana è dominata dalle voci grosse, dalle parole da mercato, dalla ritrovata plebeità del popolo polveriniano, che tra sindacalismo di destra e capipopolo della vecchia AN ritrova nel ministro La Russa un interprete appassionato e, come tale, un po’ travalicante il ruolo istituzionale (poco fa Il Secolo d’Italia mi intervista come “pannellologo” per chiedermi se non trovo che Pannella voglia rubare la scena a tutti a proposito di La Russa e non mi è rimasto che dire che a fronte della plateale sua imprudenza il ministro ha incocciato nell’inevitabile battuta di Marco che gli ricorda chi è il capo delle forze armate secondo la Costituzione).
La quinta milanese invece è silenziosa, senza tafferugli, tutta carte e controcarte, ma anche qui scheggiata dalle battute del governatore uscente che – immemore della prudenza dei vecchi democristiani – non mette un punto di domanda, non lascia affiorare un dubbio (che gli permetterebbe di scaricare un po’ sulle liti tra PDL e Lega cose di cui si carica lui, eccetera), non rinvia alla giustizia giusta l’esito di una cosa, in fondo, tecnica. No: il ricorso sarà accolto, io vincerò le elezioni. Punto.
L’ammiraglio della corazzata avrebbe tutte le ragioni per mantenere grande sobrietà. Primo per la posta in gioco, in sé incerta. Secondo perché la zatterina che lo sta speronando è un minuto ragazzo, uscito dagli squarci dell’ottocentesco pittore liberale risorgimentale Eurisio Capocci (quello che dipingeva passionalmente Luisa Sanfelice tradotta in carcere), di poche parole e di militanza antichissima, il giovane segretario dei radicali milanesi Lorenzo Lipparini. Il suo nome oggi è sulla bocca di tutti come quello di Davide il giorno dell’impresa obbligata nei confronti di Golia. A fronte del sentimento secondo cui sarebbe giusto che le liste, tutte le liste, non fossero sottratte alla competizione per questioni burocratiche (viene in mente oggi perché sono in forse le corazzate, non è venuto in mente l’altro ieri quando è stata bloccata in porto la zatterina radicale!), questa scena di sproporzionato equilibrio di forza suscita qualche simpatia, su cui i media farebbero bene a fare considerazioni.
(Si prega di considerare questo testo come un comunicato stampa)
Stefano Rolando
Deposto candidato della Lista Bonino Pannella a Milano e a Como
 
Caro Stefano, bella riflessione davvero… Spero solo che tutti coloro abituati a guardare “in basso” provino un sussulto, e alzino lo sguardo anche su un concetto così alto come quello che hai formulato.. Ci vorrebbe un urlo, per svegliarli dal torpore. Un urlo lungo e lancinante che li riporti dentro l’asse delle cose. Se solo la democrazia sapesse urlare…
Emilio Targia, Roma 3 marzo 2010
 
Cappato meraviglioso, Rolando il mio mito. Tremate, tremate, le streghe son tornate. Evviva i radicali che non hanno paura a denunciare. Grazie con tutto il cuore.
Wanda Garavaglia, Milano 3 marzo 2010
 
Memorabile! (mi trascrivo la formula ossimorica “sproporzionato equilibrio” per futuri riutilizzi).
Non mi piace però il “deposto” della firma. “Mancato” o “scampato” mi sembrerebbe sufficiente e preferibile.
Roberto Basso, 3 marzo 2010
Risposta – Deposto è…regale! Bravo ad aver colto l’ossimoro.
 
BBuono!!
Paolo Sensale, 3 marzo 2010
 
Ad essere grave non è l’esclusione di Formigoni dalle elezioni regionali perchè chi sbaglia è giusto che paghi, chiunque egli sia. Il fatto veramente grave è che si tenti di far passare l’omissione oppure l’illecito come una cosa da niente. Come se la legge fosse un optional.
No, LA LEGGE NON E’ UN OPTIONAL.La legge oltre che un dovere, è soprattutto un diritto, perchè chi viola la legge lede un nostro diritto; il diritto di ogni italiano di vivere in una nazione civile. La sicurezza, tanto sbandierata dalla coalizione politica di Formigoni, significa soprattutto rispetto della legge. Legge e sicurezza sono un binomio inscindibile. Temo purtroppo che la più importante coalizione politica italiana se ne sia un poco dimenticata. Lo si vede non solo dalla vicenda Formigoni ma anche da ciò che sta accadendo a Renata Polverini.
Sarebbe meglio, per il PdL ed i loro alleati, ammettere le proprie colpe invece di scaricare la responsabilità di questo disastro, perchè di disastro si tratta, a chi pretende il rispetto delle regole.
Aldo Guffanti, Como 3 marzo 2010
 
 Questi qui oltre che corrotti (Unti dal Signore, con grasso di maiale) sono anche inetti e prepotenti. Vorrei sapere cosa urlerebbero se il Milan  in una partita di fine campionato ricevesse un pallone in porta dopo la fine della partita. Ma se l’esempio sembra frivolo, ricordiamo che la presidenza della maggiore tra le  più antiche democrazie occidentale, si è giocata su una manciata di voti contestati, con un voto solo di maggioranza alla Corte Suprema da parte di un giudice chiaramente targato, e nessuno si è permesso di minacciare azioni squadristiche come sanno fare solo i fascisti. Il generale MacArthur , che a differenza di La Russa le guerre le ha fatte davvero e non si è limitato a picchiare la gente per strada, per aver detto molto meno di quello che abbiamo sentito dal ministro della difesa, è stato licenziato sui due piedi da Truman. Un ministro che ha giurato sulla costituzione che dichiarasse in un paese normale quel che ha detto La Russa (salvo poi ritrattare, perché questi non riconoscono la propria parola neppure se la risentono) sarebbe immediatamente impeached per alto tradimento. A me va anche bene, ho appena pubblicato un saggio “Gli italiani sono fascisti ma (forse) non lo sanno” e mi hanno detto che ero troppo pessimista. Adesso si vede.  Comunque three cheers per i radicali che alle regole ci credono attivamente.
PS Puoi spiegare ai maggiori quotidiani che la Corte d’Appello non c’entra? (vedi anche l’editoriale del Corriere di oggi)La commissione elettorale è PRESSO la corte d’Appello ma è un organo amministrativo, NON E’ la Corte d’appello, altrimenti non si potrebbe ricorrere al TAR. Lo sanno anche gli studenti di primo anno. Ma questi sono ignoranti come capre e non stupisce che con questi livelli di dilettantesimo in paludati commentatori poi finisca che chi porta le liste pensi “firma più firma meno, minuto più minuto meno, Corte d’appello o Commissione presso la Corte d’appello, massì, piccolezze che vuoi mai
Guido Martinotti, Milano 4 marzo 2010
 
Grande!
Sandro Polci, Roma 4 marzo 2010
 
 Sottoscrivo. Pur essendo lontana dalla cultura radicale, mai come il queste ore ne apprezzo la coerenza e la capacità di combattere con tutte le proprie forze ai principi in cui credono, anche sapendo di essere sconfitti. E’ un triste crepuscolo per la democrazia italiana e per la caduta di questi dei, meschini e arruffoni. In fondo, è stata punita proprio la tracotanza e il disgusto per le leggi e le regole. Spero che in un qualche modo vengano riammessi, ma che sia chiaro a tutti: è solo l’ennesima dimostrazione che solo chi crede fino in fondo nei principi della democrazia e della legalità lotta perché tutti abbiano il diritto di esprimersi. Non mi sembra che, fino ad oggi, Formigoni, Polverini  e chi li sostiene si sia mosso nel solco dello stesso principio.

Infine, ho un sogno. Che liberi di partecipare alla competizione elettorale (cosa che loro non hanno mai permesso agli altri usando mille subdoli trucchi, trucchetti, imbavagliando la libera informazione, varando leggi elettorali a proprio unico tornaconto) si ritrovino sonoramente sconfitti nelle urne perché, parafrasando un’affermazione che ha avuto tanta fortuna: un popolo che vota per questi politici è un popolo senza dignità.
Bianca La Rocca, Milano 4 marzo 2010
 
 
 
 
Chiosa dalla panchina n. 2
Stralunati
3 marzo 2010  h. 23.22  su FB
 
Ricordando che in Lombardia la Lista BP non solo non va al potere ma, date le normative esistenti, al massimo va al podere, prego condividere la lettura di quel giornale stralunato figlio del vizio comunista che senza un acerrimo nemico non si riesce a campare, che è Il Foglio.
 
da Il Foglio del 3 marzo 2010
Preghiera
di Camillo Langone
Oggetto: dimissioni da antidemocratico. Mi piaceva fare sogni aristocratici, per sfuggire a plebi ansiose di contarsi nei ludi cartacei. Oggi però l’antidemocrazia è diventata di massa: milioni di lombardi e di laziali non si vergognerebbero di vincere le elezioni a tavolino, per decisione arbitrale. L’intera sinistra è diventata radicale e i radicali si sono rivelati in tutta la loro oscenità: cercano di andare al potere non con i voti ma con le carte bollate, col metodo di quei mafiosi che senza nemmeno provare ad argomentare la propria innocenza puntano direttamente sui vizi procedurali. Piuttosto di un’oligarchia nominata dalla magistratura, meglio i sondaggi.

Ho scritto che mi pare di essere ancora nello stato della chiesa! ipocrisie, pentimenti, perdoni…l’avevan detto di guardare alla sostanza e fottersene della forma…tanto, i Radicali non avrebbero vinto lo stesso! Ma nessuno dice mai che la democrazia comincia con il rispetto delle minoranze???
Giancarlo Zagni, Mentana 56 marzo 2010
 
L’IMPORTANZA DEI SEGNALI
La vicenda delle liste di Formigoni e Polverini ci mette con chiarezza sotto gli occhi il dato di totale fragilità del nostro sistema politico fondato sui partiti. Sarebbe un gravissimo errore non cogliere questo segnale e derubricarlo a semplice incidente, ripercorrendo l’infausta scelta di sottovalutazione che, nel ’92, Craxi compì definendo l’arresto di Mario Chiesa come la banale vicenda di un “mariuolo”. Allora, il non capire cosa stava succedendo determinò una valanga che seppellì l’intero sistema partitico malato di corruzione. Oggi, sarebbe ancor più grave non capire che questo segnale (per altro, più tenue e “dolce” di quelli che si manifestano con il tintinnar delle manette) rappresenta un avviso di una potenziale valanga in grado di sommergere l’attuale sistema dei partiti, questa volata malato, non già di corruzione sistemica, ma di qualcosa forse di ancor più grave: una totale estraneità rispetto al corpo sociale, nell’illusione che sia sufficiente vivere sulle superfici della rappresentazione mediatica senza riattivare reali connessioni sociali. Cosa significa capire che questa vicenda rappresenta un segnale e non un incidente? Innanzitutto, smettere di pensare che con un timbro tondo questo non sarebbe successo e, invece, ringraziare il cielo che il segnale si manifesti in una maniera così “dolce”. Poi, prendere atto che il sistema politico ha definitivamente perduto la disponibilità a riconoscere, nella legge e nei magistrati che la applicano, un arbitro per le proprie contese. Il centrodestra mostra quasi con fierezza questo atteggiamento che, in realtà, appartiene all’intero sistema politico, nessun soggetto escluso (basti pensare alle parole di De Magistris sull’esito del processo Why Not). Purtroppo, un sistema democratico (seppur con forti venature partitocratiche) non può funzionare senza il riconoscimento di un arbitro che regoli la dialettica e il confronto politico. Insomma, se non c’è un arbitro, non si può giocare la partita della democrazia. Ma attenzione, non necessariamente l’arbitro deve incarnarsi nella magistratura e nelle leggi che essa applica. L’arbitro può essere anche un altro: fino a qualche tempo fa era dio, per la democrazia greca era il caso, la tecnologia potrebbe incarnarlo in un sistematico ricorso alla democrazia diretta, etc… Insomma, ci sono molte forme “arbitrali” a cui la politica può scegliere di sottomettersi, ma deve avere la volontà di farlo. Invece, se la politica non si vuole sottomettere a un soggetto che ne regoli le controversie, allora ha il dovere di mettere all’ordine del giorno la questione della “fuoriuscita dalla democrazia”. Dico questo con totale disincanto e senza alcuna enfasi moralista. Se non c’è democrazia è meglio prendere atto che non siamo capaci (o disponibili) a produrla. Per altro, fuori dalla democrazia non c’è la guerra civile, ma semplicemente altre forme politiche comunque praticate dall’antropologia umana. In estrema sintesi, queste forme si situano tra due punti cardinali: l’autocrazia e l’anarchia. Il primo è un sistema che concentra il potere in un circuito ristretto, ma esplicitato e universalmente responsabile di questo potere (ad esempio, la Chiesa funziona così). Il secondo è un sistema che dissolve il potere di delega politica sviluppando solo forme di autogoverno (ad esempio, internet funziona così). Se non siamo capaci di vivere nella democrazia, dobbiamo solo decidere se andare verso l’autocrazia o verso l’anarchia. Purtroppo, abbiamo un circuito partitico-mediatico che, invece di capire cosa sta realmente succedendo al sistema politico, preferisce battibeccare in tv su un timbro tondo o quadrato
Alessandro Aleotti (Direttore Milania), 5 marzo 2010