Chiose dalla panchina n.10 – Tre virgola sette per cento (lezione francese) – 21 marzo

Chiose dalla panchina n. 10
Tre virgola sette per cento
Stefano Rolando
 
 
 
21 marzo 2010. Era stato programmato un week end di piazza e di provincia, nell’ultima rampa prima del voto. Ma la “desistenza forzata” orienta altrove (a Vittorio Sgarbi, nel Lazio, con un numero di firme valide ben più basso dei radicali in Lombardia, è toccata la riammissione, tanto per segnalare le infinite sperequazioni della normativa elettorale).
Panchina per panchina, scelgo l’invito a dialogare con colleghi impegnati in un seminario universitario a Parigi sul senso della larghissima astensione alle regionali francesi (al primo turno, con forti ipotesi di conferma oggi al secondo turno). Spunti nelle conclusioni per parlare anche delle regionali italiane.
Riepiloghiamo i dati. Nel 2007 alle presidenziali francesi partecipa l’87% degli elettori. Nicolas Sarkozy trionfa, la curva di popolarità sale fino a metà del 2008. Ma l’eccesso di invasione del “personale” nella vita pubblica, l’irritazione per promesse che i più ritengono non mantenute, l’abuso di “annuncio”, la percezione di “interessi” mescolati alla politica, provocano l’effetto parabolico nel 2009. Alla regionali, ora a marzo, la lezione dei francesi impartita al presidente onnipresente e onnipotente è triplice: 53,65% di astensione, il voto all’UMP in picchiata, l’exploit dell’estrema destra di Le Pen (che fino alle presidenziali Sarkozy riusciva a rappresentare). Si aggiunga la rivelazione di un piccolo vero “partito militante”, capace di mobilitare il 3,7% dell’elettorato, condurlo con motivazione civile alle urne per far depositare la scheda in bianco o con vistosi elementi di annullamento.
Tre francesi su cinque, dunque, per il non voto. Segnale grave e immenso. E poi, nella minoranza del paese, la tenaglia della sinistra e dell’estrema destra per togliere potere alle forze governative che perdono il controllo del sistema regionale. Giornali e tv aprono così lo spazio all’analisi di questo comportamento e quel 3,7% si staglia nella rappresentanza non della noia dei cittadini per una politica sommariamente giudicata cialtronesca, ma piuttosto nella rappresentanza di cittadini ultra-partecipativi e ultra-motivati nel rimprovero.
Con un paese siffatto gli eventi del nostro tempo – speranze e involuzioni – prendono senso. Indipendentemente dalle trovate propagandistiche dei partiti schiaffeggiati.
Inutile aggiungere parole per confrontare il caso italiano. Se non per ricordare che a Roma si può ancora disegnare un esito che sarebbe ben comprensibile per l’elettorato medio europeo; e in Piemonte si può ancora segnalare a Carlo Azeglio Ciampi e a Giorgio Napolitano che il loro sforzo di tenere in piedi le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia risponde ad una volontà popolare. Quanto alla Lombardia, quel 3,7% era più o meno l’esito del voto radicale alle recenti elezioni europee. Beh, si ammetterà che qui non ci sono molti argomenti di “voto utile”, constatando anche che nessuno si è degnato di ricordarsi di quell’esito alle europee nemmeno per deplorare l’eliminazione delle liste radicali o per svolgere un meditato invito ad “altro voto”. Non sono io – che mi sono formato nella cultura di governo come responsabilità primaria – che inseguo per principio la logica della protesta nella politica. E tuttavia la “lezione francese” solleva un comprensibile pensiero su un auspicabile comportamento di un elettorato ferito, dettato questa volta al tempo stesso dalla ragione e dal principio superiore della pedagogia civile. Il 3,7% potrebbe ben scrivere sulla scheda: “Io sarei stato per Emma Bonino

Quattro virgola cinquantanove. Aggiuntina

 
(22 marzo sera) – Regionali francesi, secondo turno. Dati acclarati. L’astensione dal  voto al primo turno picco record al 53, 65%. Al secondo 48,92%. Ma le schede bianche e nulle (dunque “votate”) si accentuano. Dal 3,7% al 4,59%. Un milione di cittadini che non ha disertato le urne ma ha disertato i partiti. La somma dei due comportamenti legittimi e riluttanti porta al dato finale del 53,51% dei francesi (22 milioni sui 42 milioni di iscritti) che segnala tutto ciò che analisti, sociologi e politici già oggi – magari senza enfatizzare troppo l’evidenza – discutono. E che qui non si intende santificare, mantenendo il dovuto rispetto per tutte le intenzioni elettorali, a cominciare da quelle “conformi”.
Si conferma soltanto il carattere complesso dell’interpretazione oggi di comportamenti elettorali declinati nel territorio, dunque diversi. E ancora, declinati nella capacità critica rispetto a promesse e rendimenti; nel sottinteso etico rispetto a come i politici intendono rappresentarsi; nella relazione tra sfera governabile e sfera ingovernabile della condizione pubblica. Voto, diremmo in gran sintesi, laico.
Si sentano liberi gli italiani di non rifugiarsi con sentimenti obbligati nella condizione ormai primitiva del voto utile e ancora più primitiva del voto che paga la quantità della propaganda.
A buoni conti, sinceri auguri alla sinistra al plurale  che governerà tutte le regioni di Francia salvo l’Alsazia (che essendo un po’ tedesca in fondo si governa piuttosto da sola).
Per ciò che abbiamo detto e rappresentato nella porzione di campagna elettorale che ci è stato concesso fare – esprimo qui un’opinione ben inteso personale – non mi pare pretestuoso attendere,  riguardo alla Lombardia, il voto-non voto per veder coincidere alcune ragioni e alcuni sentimenti.
SR