Cerimoniale e comunicazione istituzionale. Una relazione al convegno dell’ANCEP a Torino (25.10.10)

Elementi per relazione in Consiglio Regionale Piemonte
al convegno promosso da CRP e ANCEP su “Cerimoniale territoriale e pubbliche relazioni
Lunedì 25 ottobre 2010
Corso Stati Uniti 23, Torino
 
Cerimoniale e Comunicazione istituzionale
 
Stefano Rolando
Università IULM di Milano
 
 
  1. Di “cerimoniale” in senso specifico non mi sono mai occupato (né professionalmente e nemmeno molto nell’approfondimento disciplinare). Ho visto al lavoro almeno tre generazioni di operatori (a Palazzo Chigi il mitico prefetto Giovanni Bottiglieri, poi Massimo Sgrelli [1], poi i suoi più giovani collaboratori) e ho avuto molte occasioni di stimolo per parlarne.
         Tra l’altro la Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali se ne è occupata in chiave territoriale in una fase in cui attorno ai punti presidiati dal “cerimoniale” si giocava una partita molto più politica che è stata poi sostanzialmente abbandonata.
         Dunque svolgerò qualche riflessione sullo specifico nell’attuale contesto politico-istituzionale e poi lo riferirò al tema dell’evoluzione delle attività comunicative e relazionali del sistema istituzionale.
 
  1. Alcuni fattori di presidio valoriale del Cerimoniale:
    • Il richiamo alle “forme” (il carattere ordinato della “recitazione”)
    • Il richiamo alle regole nei rapporti tra interno ed esterno (per arginare non l’idea democratica della “casa di vetro” ma l’idea faziosa degli amici degli amici in relazione al rapporto di uso con i palazzi della democrazia)
    • Il richiamo alla dimensione simbolica dell’esercizio del potere (codici antichi, in alcuni ambiti ancora oggi nodo essenziale della antropologia delle forme della decisione; ma che disciplinano il punto essenziale della relazione tra cultura della politica e cultura della società,
    • non concedendo in questo al sistema mediatico di essere l’unico luogo del “racconto” e quindi del rifacimento simbolico di quei poteri
    • il riferimento alla specificità delle forme e quindi a quella che Andrea Manzella – allora SG di Palazzo Chigi – chiamava la “cultura della casa” che rende riconoscibile dalle regole di comportamento il profilo simbolico dell’istituzione e le modalità con cui tutti – interni ed esterni – debbono rapportarvisi.
 
  1. Gli operatori – spinti dai politici ad occuparsi centralmente delle questioni di visibilità – potrebbero vedere come prevalente il tema del posizionamento delle autorità negli eventi e nelle cerimonie – da cui appunto il nome cerimoniale – ma questo aspetto non è che la conseguenza di un’analisi tecnico-costituzionale dei punti precedenti e va in essa inquadrato; altrimenti diventa pura “battaglia” per la prima fila di una rappresentanza insignificante – per i cittadini – rispetto al valore simbolico delle istituzioni e senza “lezione” per chi ha a che fare con il palazzo.
 
  1. Se dunque il “Cerimoniale” si colloca complessivamente nel presidio dei valori simbolici della rappresentanza e della rappresentazione del potere esso diventa non segreteria “behaviorista” del comportamento delle autorità, ma organo sensibile a raccordarsi con altri soggetti implicati nella comunicazione istituzionale (gestione dei siti e degli sportelli, organi dei rapporti con i media, con le imprese, con i gestori dei public affairs e con la società civile) nel disegno e ridisegno del rapporto tra forma e sostanza nella percezione della comunicazione come rappresentazione [2].
 
  1. Rappresentazione che riguarda processi interattivi e che investe appunto i comportamenti di tutti i soggetti implicati. Qui i confini sono forti:
    • i profili dell’ ascolto (da parte delle istituzioni)
    • i profili della democrazia partecipativa (ove praticata, sia nelle forme assembleare che in quelle regolate dalla e-democracy)
    • i profili dell’ etica nelle relazioni con i soggetti della rappresentanza
    • i profili dei linguaggi (certezza, chiarezza, garanzia, eccetera) nelle forme della relazione
    • i profili del rapporto tra parola e silenzio nelle occasioni formali in cui non c’è happening casuale ma osservanza di regole che consentono di rispettare le altrui libertà.
 
  1. Un ambito di particolare e specifica importanza riguarda i profili di una cultura “cerimoniale laica” rispetto all’evidente pregnanza delle cerimonia religiose, che è territorio di grande importanza (si pensi ai funerali) ormai spessissimo non all’altezza dell’importanza per carenza di qualità delle forme.
 
  1. Tutto ciò è a fronte di trasformazioni indecenti che possiamo osservare oggi nel sistema istituzionale a tutti i livelli. Soprattutto causate spesso dalla crisi di ruolo negoziale dell’alta amministrazione proprio rispetto ai profili della conduzione formale (che poi come abbiamo visto non è affatto formale) della sceneggiatura quotidiana degli atti interni ed esterni. A causa di tre fenomeni congiunti:
    • lo spostamento del luogo della rappresentazione dai palazzi ai media
    • lo scadimento culturale del ceto politico (in rapporto al valore della missione pubblica impersonata)
    • il prevalere dei fini autoreferenziali nell’esercizio dei poteri in molti contesti così da creare una gerarchia di valori nell’organizzazione istituzionale e amministrativa che va perdendo la nozione di servizio al bene pubblico.
 
  1. Non è questione che investa tutto e tutti. E’ ancora un terreno dove si notano le differenze. Ma un certo numero di anni di degradazione della cultura istituzionale nel rapporto tra amministrazione e politica ha abbassato la soglia a detrimento della qualità e della potenzialità di organi deputati appunto ad assicurare forma e alla simbolicità del potere. Se mi avete chiamato – nella nota indipendenza e nella visione ormai esterna alla vita delle istituzioni – per tenere questa relazione è perché confidate che qualcuno queste cose le dica.
 
  1. Si colloca in questa visione dei problemi esistenti ma anche dei cambiamenti potenziali, la riflessione in corso sul senso evolutivo di tutto il comparto della comunicazione pubblica che è materia di cui mi occupo centralmente, non solo in ambito universitario ma anche in ambito europeo e nazionale attraverso la partecipazione al dibattito professionale (Europcom di recente):
    • comunicazione pubblica rigenerata negli anni ’80 come leva per la modernizzazione dello Stato e la riforma della PA
    • oggi orientata a spostare la sua potenzialità (strumenti, reti, metodologia) anche verso la responsabilizzazione attorno alla causa pubblica dei soggetti che operano nella società civile;
    • tema rilevante che pone problemi di ripensamento culturale e teorico (obbligando associazioni, didattica, codici professionali a rivedere molte cose) .
 
  1. Una riflessione che impegna tutti i comparti “relazionali” delle istituzioni capaci di interpretare e rappresentare nel cambiamento interno molte attese e molte delusioni che si esprimono nella società.
    • Se non si compie questo raccordo critico e si lascia andare la rigenerazione delle condizioni di organizzative la dove la pulsione alla pura visibilità elettorale spinge i politici ad un uso strumentale e distorto delle istituzioni non si rende un buon servizio né ai cittadini né alla buona politica, che pure esiste.
    • Necessario altresì recuperare un ambito di educazione civile e istituzionale nella scuola e nella formazione superiore.
    • Necessario presidiare la frequentazione dei giovani e dei giovanissimi dei luoghi istituzionali dando contenuto a questa esperienza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Stefano Rolando è  professore di Teoria e tecniche della comunicazionePubblica all’Università Iulm di Milano. E’ membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni, del Consiglio scientifico dell’Unesco-Bresce, del comitato scientifico della conferenza nazionale di statistica (Istat) e direttore di Rivista italiana di comunicazione pubblica (Franco Angeli). Ha diretto dal 2004 al 2010 la Fondazione di ricerca e formazione dell’Università Iulm. E’ stato per dieci anni direttore generale dell’informazione e dell’editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e successivamente direttore generale del Consiglio regionale della Lombardia e – dal 2001 al 2006 - segretario generale della Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali italiane. E’ stato consigliere di più ministri dei governi italiani dal 1997 al 2008. Nel sistema di impresa è stato direttore generale dell’Istituto Luce, dirigente alla Rai e all’ Olivetti. E’ tra i riconosciuti esperti in Italia e in Europa di comunicazione di pubblica utilità. Con Etas è in uscita a novembre il suo ultimo libro La comunicazione pubblica per una grande società. In generale profilo, attività e pubblicazioni in www.stefanorolando.it
 


[1] Senza il prezioso manuale di Massimo Sgrelli, di cui l’autore mi ha fatto dono nel 1998, tra l’altro non avrei mai saputo dell’esistenza della sfragistica che è scienza distinta dall’araldica che risale alle applicazioni di Ludovico Muratori e che studia forma, valore e uso dei sigilli .
[2] Al rapporto tra comunicazione delle istituzioni e delle imprese – nel raccordo tra rappresentazione della legalità e degli interessi – è dedicato il testo del relatore Economia e gestione della comunicazione delle organizzazioni complesse, edito nel 2010 da CEDAM.