Beni culturali, tutela, mercato,territorio. Intervento a Astrid (4 febbraio 2011)
Astrid
I beni culturali tra tutela, mercato e territorio
Roma, Venerdì 4 febbraio 2011
Seminario coordinato da Franco Bassanini e Luigi Covatta
e introdotto da Giuseppe Pennisi, Pietro Graziani, Bruno Zanardi e Lorenzo Casini
Intervento di Stefano Rolando
(Università IULM, Milano)
Portiamo a questo “seminario ampio” frammenti o sintesi di ragionamenti fatti anche nel corso di riunioni precedenti, con l’obiettivo di ridefinire una policy per un settore che prima o poi dovrà tornare a essere considerato strategico nel rilancio politico, economico e culturale dell’Italia.
A patto, come è stato bene detto nelle introduzioni, che torni ad esserci visione e progetto, corrispondente alla crisi istituzionale, secondo me più importante della crisi di risorse.
Se dovessi dire in una sola espressione ciò che i primi interventi al seminario considerano fattore maggiore di ritardo direi che pesa sui “Beni Culturali” – intesi come ministero – la poca consapevolezza di essere amministrazione di rendimento, secondo quella visione anglosassone (anche di tutte le riforme amministrative anglosassoni, americana e australiana comprese) in cui vi è netta differenza con la nostra visione, come dire, di competenza.
Ma sul terreno della proposta di rilancio di una economia del settore si è già detto – a cominciare dalle valide osservazioni generali di Giuseppe Pennisi – per cui, malgrado queste affermazioni, darò il mio piccolo contributo proprio su due aspetti di competenza.
Innanzi tutto per osservare la mancanza di una rete che faciliti, alimenti e sviluppi l’internazionalizzazione della politica culturale italiana. Ho sentito prima Mario Resca descrivere la pur ottima intesa con il governo cinese per lo scambio museale tra piazza Tien Ammen e piazza Venezia. Giusto obiettivo che dipende tuttavia da una gusta intuizione, un giusto accordo, una volontà andata in porto. Messa a sistema la capacità relazionale culturale italiana nel mondo essa sconta la totale assenza di ruolo dei Beni Culturali dalla potenzialità (perché ormai temo che di “potenzialità” si debba parlare) della rete degli istituti italiani di cultura nel mondo.
Io ho rispetto per la Farnesina e per il suo sforzo di mantenere standard professionali in un campo difficilissimo. Ma ricordo – quando ero direttore generale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con una parte di competenze che intersecavano questa materia – di essere stato schiacciato dalla mole (fisica, per dire affettuosamente, e di verve) dell’allora ministro degli Esteri De Michelis che accolse la visione, secondo me drammatizzata dai diplomatici, di impedire ogni concertazione (che allora proponevamo con Palazzo Chigi come regia) a proposito della rete degli istituti perché la nostra diplomazia soffriva la perdita di peso nella politica estera militare, nella politica estera monetaria e nella politica estera commerciale ritenendo di dover mantenere almeno egemonia su quella culturale. Ma lo specifico della diplomazia è fare, all’estero, il direttore d’orchestra, non avere competenze segmentali. Oggi se i Beni e le Attività culturali (perché la competenza è aperta anche alla cultura in quanto tale) vogliono ridisegnare visione, lo devono fare tenendo conto di ciò che la cultura rappresenta nel brand Italia e quindi nell’immagine internazionale del Paese. E devono trovare un modo di partecipare alla gestione della rete degli Istituti (come dovrebbero farlo regioni e città) influendo non sulla loro funzione di pura rappresentanza ma sulla loro capacità di essere parte di processi organizzativi, negoziali, di scambio e di politica della fruizione, rispetto sia alla nostra vasta comunità nazionale all’estero (che avrebbe un grandissimo bisogno di avere a disposizione una proposta identitaria culturale), sia rispetto ad un mondo internazionale largamente attratto dall’Italia a condizione di ricevere stimoli giusti e intelligenti. Alimentando altresì con personalità – che il nostro sistema culturale ha – la nomina dei direttori (soprattutto quelli di “chiara fama”) tenendo conto di quanta cultura globale c’è in molti di loro.
La seconda osservazione la vorrei fare riferendomi alla pur breve esperienza del ministro del Beni culturali Francesco Rutelli, che era atteso qui oggi, così come sono presenti gli onorevoli Buttiglione, Veltroni e Melandri e che, se presente, avrebbe credo ricordato la questione.
Ho svolto ruolo di suo consigliere nell’ultima parte del recente mandato portando a compimento la definizione di un rapporto sull’economia della creatività in Italia con la commissione presieduta dal professore Walter Santagata che ha indagato su una materia che impone una politica di alleanze e di negoziati intersettoriali e quindi anche inter-istituzionali da cui dipende un PIL oggi superiore al 12% e un’ area occupazionale ancora in crescita. Dunque di una importanza essenziale che spinge naturalmente ad un legittimo ampliamento della nozione “cultura” che è molto salutare per il rilancio delle politiche nel settore e per la riqualificazione di quel Ministero.
Tanto è vero che Francesco Rutelli aveva in animo di giungere, come follow-up di quel rapporto, ad una proposta di ridefinizione della stesso nome del Ministero e di perseguire poi un connesso ridisegno organizzativo dell’amministrazione.
La parola creatività è invece uscita totalmente di scena, quel rapporto è finito in un cassetto e – solo in ragione di un cambio di governo, malgrado la qualità scientifica delle analisi – l’inventario di proposte contenute non è più all’ordine del giorno.
Così come è stato congelato e reso inoperante quel Consiglio nazionale del design insediato giustamente a Milano che era parte di una riflessione proprio sul ripensamento di una politica per la creatività.
Anche qui tocco una questione di competenza, ma in ragione non dell’accaparramento burocratico di un potere ma di una visione di insieme di ciò che oggi può fare strategia ed economia in tempi in cui, date anche le risorse limitate e tagliate di cui tutti qui parliamo, guardare agli ambiti in cui istituzioni e mercato possono collaborare è diventato un obbligo.