Attorno alla fotografia della Situation Room alla Casa Bianca l’1 maggio

Un brano dell’analisi del prof. Stefano Rolando (direttore del Master in comunicazione politica, sociale e istituzionale MASPI, dell’Università IULM di Milano) condotta attorno alla prima diffusione dell’immagine della Situation Room alla Casa Bianca l’1 maggio diffusa su Flickr, il sito web per la condivisione delle fotografie online. In questa settimana (9 maggio) comincia al MASPI un modulo sulla comunicazione politica condotto con la collaborazione di docenti della George Washington University, nel quadro di una convenzione tra i due atenei.
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Questa foto è stata scattata da Pete Souza, fotografo ufficiale della Casa Bianca, nella Situation Room della WH, l’1 maggio 2011. Come è ormai universalmente noto essa ritrae il presidente Barack Obama, il vice-presidente Joe Biden, il segretario di Stato Hillary Clinton e l’intero team della sicurezza nazionale degli Stati Uniti,  intenti a seguire l’operazione ad Abbottabad nella fase esecutiva finale che ha portato all’eliminazione di Osama Bin Laden.
La foto è destinata ad entrare nella storia della comunicazione politica del secolo e, in verità, a gareggiare – comunicativamente – con quella che fino ad oggi è stata considerata l’icona del secolo, l’immagine in fiamme delle due torri a New York a causa dell’attentato perfettamente congegnato da Bin Laden che ha portato, l’11 settembre del 2001, per la prima volta ( o meglio per la seconda, si vuole considerare anche la base americana di Pearl Harbor nelle isole Hawaii il 7 dicembre 1941, determinando l’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale) la guerra dentro il territorio degli Stati Uniti.
E’ una foto semplice, perfetta, sequenziale, narrante.
I teatri d’azione sono tre. Questo: un angolo di una sala senza fronzoli, un bordo di scrivania, normali pc e un aggregato umano di straordinaria efficacia rappresentativa.  La scena a migliaia di chilometri di distanza nel profondo del Pakistan. L’altra riva del Potomac, sempre a Washington, nel quartier generale della Cia, dove Leon Panetta era il “telecronista di ghiaccio” dell’azione del commando. «Hanno raggiunto l’obiettivo in questo momento…». Si sentivano i rumori degli spari, raffiche, esplosioni. Lo schermo proiettava immagini in diretta trasmesse dalle micro-telecamere montate sugli elmetti dei ‘Navy seals’.
Questa foto, dal primo maggio ha una media di 150 mila visualizzazioni all’ora in tutto il mondo. Milioni di visualizzazioni. E’ destinata a entrare nella storia della politica e della comunicazione.
E’ bene comprendere che nessuno dei presenti, che sono parte della scena, è lì casualmente, anche quelli più discretamente alle spalle. La “ragazza “ sulla porta, che sembra “curiosare”, è il capo dell’antiterrorismo degli Stati Uniti. Quello in fondo a sinistra che sembra un soldatino è il capo di stato maggiore della difesa. La mano di Hillary è un capolavoro.
Sono seduti: il vicepresidente Joe Biden, il presidente Barack Obama, Il generale Marshall B. “Brad” Webb direttore delle “operazioni speciali”, il viceconsigliere per la sicurezza nazionale Denis McDonough, il segretario di Stato Hillary Clinton, il segretario alla Difesa Robert Gates. Sono in piedi: l’ammiraglio Mike Mullen, capo degli stati maggiori congiunti (ovvero capo di SM della Difesa); il consigliere per la sicurezza nazionale Tom Donilon, il capo di gabinetto Bill Daley, il consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Tony Blinken, la direttrice dell’Antiterrorismo Audrey Tomason, l’assistente del presidente per la Sicurezza interna e l’Antiterrorismo John Brennan, il direttore della National Intelligence James Clapper.
Essa ferma il tempo qualche attimo prima dello svolgimento dell’azione finale. Riepiloga, in realtà, dieci anni di storia dei rapporti tra gli Stati Uniti e il terrorismo. Coinvolge grandi aspetti identitari dell’America, della sua organizzazione istituzionale e di potere, del rapporto con il contenuto di questa vicenda di tutti gli schieramenti interni (repubblicani e democratici).
Le corrispondenze delle agenzie parallele a questa immagine sono un copione cinematografico (inevitabilmente ci sarà un film che ricostruirà ciò che si è visto e ciò che non si è visto finora). Questo il racconto di “quotidiano.net”: “lunghi minuti agghiaccianti senza alcun commento, uno degli elicotteri si abbatte al suolo,la faccia del presidente e di Hillary Clinton, con una mano davanti alla bocca sono allarmatissime, la tensione è enorme, potrebbe fallire tutto, poi all’improvviso ancora la voce di Panetta: «abbiamo individuato Geronimo»; altri spari, altri silenzi interminabili, ancora raffiche e una voce più forte: « Geronimo è Kia …..Geronimo è Kia», cioè ‘killing in action’, la sigla che in codice significa nemico ucciso in azione; nella ‘situation room’ il silenzio rimane glaciale per altri interminabili secondi, poi una tremenda esplosione che sembra sconvolgere tutto, ma è ancora la voce di Panetta a tranquillizzare: «Nessuno dei soldati americani è stato colpito o è rimasto ferito»; Il presidente Obama capisce e dice a bassa voce : «We got him», lo abbiamo preso”.
Ruggero Guarini non ha l’abitudine alla retorica. Ha commentato così questa immagine sul “Tempo”: “Una scena che per il suo asciutto rigore, la sua assoluta semplicità, la sua muta e sommessa intensità e solennità, può essere considerata una delle espressioni più toccanti della nobiltà e grandezza dello «stile» americano. Quale ammirevole assenza di ogni indizio di facile esultanza o rozza boria in quelle figure di «ottimati» del paese più potente della terra intenti a seguire le fasi di un evento che per tutti loro può dirsi una vittoria epocale… Quale assoluta mancanza di prosopopea nei loro volti e nei loro sguardi… E quale severa lezione di gusto e contegno per tutti i più o meno furiosi o vanesi pagliacci che ancora oggi, un po’ dovunque nel mondo, quando non sognano di annientare il gigante americano col terrore, pretendono di umiliarlo contrapponendo al suo supposto materialismo e ala sua pretesa volgarità non si sa più quale loro primato ideale”.
Alcuni saranno d’accordo, altri non saranno d’accordo. Sull’intera operazione Geronimo si discuterà a lungo. Già la stampa di oggi (3 maggio) fa un’analisi più politica di questa “scena” dentro lo scenario americano. Per esempio Massimo Gaggi sul Corriere scrive: “Al di là dell’eliminazione fisica di Osama, l’attacco al «compound» di Abbottabad può offrire al presidente almeno un vantaggio duraturo nella corsa verso la rielezione: dopo aver preso una serie di decisioni nette e rischiose mostrando nervi saldi e assumendosi tutte le responsabilità in prima persona, sarà assai più difficile accusare Barack Obama di mancanza di «leadership». Paradossalmente l’America che due anni e mezzo fa l’aveva scelto come presidente convinta che fosse l’uomo giusto per gestire la grave crisi economica, ma con qualche dubbio sulle sue qualità di «commander-in-chief», oggi si ritrova con un presidente che gli appare più determinato nella lotta al terrorismo che come «capotreno» capace di riportare il sistema produttivo e la finanza Usa sui giusti binari”.
Tornando all’immagine, la “legittima difesa “ (tempo uno il 2001, tempo due il 2011) che invocano gli Stati Uniti farà avere dubbi a qualche tribunale attorno a uno dei principi supremi del codice etico militare americano. Non è questo qui in discussione. Così come non è qui in discussione un argomento che anche l’America più accomodante ha trovato indegno: il mantenimento in operatività del carcere di Guantanamo (da cui è partito il setacciamento delle fonti che ha permesso l’operazione in Pakistan). 
La discussione, nella limitata sede di analisi della comunicazione politica, è che il vero motivo – non importa se non esplicito e magari neppure percepito – della decisione di non diffondere le immagini del corpo stravolto di Bin Laden ucciso, sta nel non rischiare di fare di Bin Laden di nuovo l’icona principale nel momento della resa dei conti. Alla resa dei conti l’icona che passa nel mondo è quella che nessun regista di cinema o di teatro avrebbe potuto trattare con migliore intensità e complessità. Una squadra, una storia, una coesione, uno stile. Il tutto in una fotografia.