Articolo a piena pagina del Manifesto sul Centro culturale Nitti a Melfi occasione di “rinascita”
Una vicenda che sarebbe incredibile altrove, ma non nel nostro Sud. Parliamo della sede del Centro Culturale Nitti (Francesco Saverio Nitti, 1868-1953, liberale, politico italiano, presidente del consiglio, originario di questa cittadina del Vulture), inaugurato nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso, fatto vivere per pochi anni da un volontariato eccezionale (tra i primi Filomena Nitti, figlia dello statista, e Daniel Bovet, suo compagno e premio nobel per la medicina), poi lasciato marcire in senso letterale: distruzione e furti di ogni suppellettile, abbandono totale, dulcis in fundo riparo di alcuni delinquenti ricercati. La storia di questo Centro Culturale è storia di miseria e fallimenti di classi dirigenti locali e di umiliazione di un volontariato di qualità. Ma è una storia che va conosciuta non solo per l’assurdità dello spreco di danaro pubblico da parte di una casta di amministratori prigionieri di piccinerie, ma anche perché è, in positivo, simbolo di una rinascita miracolosa frutto di testardaggine e di impegno di persone che non si sono arrese all’incuria e alla miseria politica dominante. Alla fine degli anni 70, dunque, prese avvio l’attività del Centro Culturale Nitti voluto anni prima da Filomena Nitti che desiderava fare qualcosa per Melfi, non solo perché patria del padre, ma anche in ricordo del figlio Gian Paolo, appena eletto consigliere regionale del PCI in Basilicata, morto in un incidente d’auto nel 1970. Ed è commovente leggere le lettere della studiosa in cui fa la cronistoria di questo centro e dei sacrifici per metterlo in piedi con finanziamenti della allora cassa del mezzogiorno. L’attività del Centro, iniziata nel 1978, coincise anche con una sperimentazione, tra le prime e più avanzate in Italia, del tempo pieno nelle scuole elementari. Racconta Mauro Tartaglia, che è tra i testardi che non si sono arresi alla sconfitta dolorosa subita con il primo centro culturale: “Quando la Cassa del Mezzogiorno ha cessato le attività, Comune e Regione dovevano prendere in mano il Centro e dargli la sua effettiva funzione. Invece abbiamo assistito a un rimbalzo di responsabilità e a un degrado incredibile frutto dell’immiserirsi della politica nelle manovre di piccolo cabotaggio. E sì che, oltre all’attività del centro con due convegni internazionali memorabili, a Melfi abbiamo sperimentato, tra i primi in Italia, la scuola a tempo pieno nelle classi elementari. Un progetto a cui parteciparono oltre Filomena Nitti, Daniel Bovet, pedagogisti all’avanguardia allora nel nostro paese, e tantissimi studiosi del calibro di Lucio Lombardo Radice e Raffaele Laporta. Quest’ultimo parlò esplicitamente di una guida ad un programma illuminato della scuola dell’obbligo di domani in Italia”. Furono così chiusi a Melfi, in favore dell’innovativo tempo pieno, 130 doposcuola (anche privati) che altro non erano che passatempi passivi e umilianti per ragazzini e docenti. Ma il terremoto del 1980 fu, anche nel campo delle strutture culturali più avanzate, uno spartiacque. Qui a Melfi in termini devastanti, per l’insegnamento negativo che diede a tutti sulla miseria culturale e politica di classi dirigenti anche di opposte visioni. Chi ha avuto la ventura di fare il cronista negli anni del dopo-sisma, sa che a Melfi era consuetudine prendere il Centro Nitti a metafora dell’incapacità della politica dei paesi di prendere in mano il destino dei propri territori e portarlo a un livello europeo degno. Come, invece, avevano provato a fare persone come Filomena Nitti e Daniel Bovet che, oltre all’impegno melfitano (erano praticamente di casa nel paese del Vulture), avevano messo in piedi la solidarietà degli intellettuali francesi (tantissimi, tra cui Simone De Beauvoir e Jean Paul Sarte) per Muro Lucano, un paese devastato dal sisma, dove prese vita, grazie a loro, il Centro Culturale Francese.