Ancora un commento di sintesi (Linkiesta, 8 marzo 2013)
Linkiesta – Blog
Elezioni in Lombardia. Guardare avanti
Stefano Rolando 8 marzo 2013
|
Accolgo volentieri l’invito della redazione de Linkiesta per tenere un blog in questo apprezzato giornale on line. L’occasione è venuta dalla risposta ad un articolo (anch’esso in blog, così che ho appreso la neutralità della redazione rispetto a questa parte del giornale e quindi la condizione di libertà estrema di pubblicabilità) polemico con la campagna di Umberto Ambrosoli (recenti Regionali in Lombardia). E così ho pensato giusto partire da questo e dall’esperienza personale di coordinamento politico di quella campagna che si è conclusa da poco.
Esperienza straordinaria per le condizioni di emergenza dello svolgimento. Ma anche per il tempo fulmineo, per la provenienza fuori dalla politica del candidato, per il brillante rovesciamento del quadro delle primarie già indette dai partiti in primarie (così volute dall’”inesperto”!) dentro la cornice innovativa di un “Patto civico”, metà rappresentanti politici nelle amministrazioni locali e metà “civici” cioè rappresentanti di associazionismo sociale. Primarie stravinte, poi corsa in due mesi contro la coalizione Maroni-Formigoni-Berlusconi-Tremonti. Meno di 2 punti e mezzo di scarto (in più per Maroni, in meno per noi), vincitori in tutte le città (salvo Varese), contenuto i grillini al 14% (contro il 25% nazionale), il centrosinistra 5% in più del Senato e quasi 10% in più della Camera, lista civica formata un mese prima del voto portata al 7% (con 380 mila votanti e cinque eletti), circa 200 mila votanti personali strappati all’astensionismo.
Elezioni perse anche per avere avuto i tg nazionali zeppi di Maroni e Berlusconi in tutta la campagna, per avere contrastato con la ragione e con un buon programma una campagna demagogica degli avversari, per una dispari condizione di budget, per il salto della quaglia di alcune piccole formazioni e per non aver funzionato il voto disgiunto dei centristi (che caso mai è andato più di là).
Nessuna recriminazione. Varie autocritiche. Senso di un grande lavoro, rispettoso della crescita personale di un candidato intelligente, diverso dall’offerta politica tradizionale, valoriale e capace di intercettare le molte novità della politica pulita italiana offrendo però al pragmatismo di chi chiedeva classe dirigente alternativa un cambiamento non avventuristico e poi stabilità, interlocuzione, qualità della squadra.
Una grande occasione sprecata per la Lombardia, per il suo sistema economico, per le sue amministrazioni locali (a cominciare da Milano), per l’Expo, per un centrosinistra che ha avviato una trasformazione possibile solo contaminando a vicenda partiti (soprattutto il PD) e “cittadinanza attiva”. Dunque anche all’interno di quella transizione verso la “terza Repubblica” in cui questa Lombardia (un sesto della popolazione e un quarto del PIL dell’Italia) poteva essere – ma può ancora essere – un modello diverso di cambiamento della politica. Interessante l’offerta post-ideologica della sinistra di Andrea Di Stefano penalizzata dall’aver ricevuto solo il voto di Milano. Qualche gufo in giro, alcuni coretti polemici fin dall’inizio (e per fortuna poi inascoltati), molto ascolto invece e molta interazione con una grande società nel territorio. Dove la campagna ha fugato paure, acceso speranze, riportato giovani e donne ad un vero interesse per la politica. Insomma la formazione di un capitale politico e sociale su cui si sta riflettendo, al di là della composizione dei gruppi consiliari ma guardando alle dinamiche territoriali e alla sequenza elettorale locale ed europea tra il 2013 e il 2014.
Un’analisi più qualitativa del passaggio dal voto alla prospettiva l’ho svolta per il prossimo fascicolo di Mondoperaio (n. 3/2013) e rinvio a questo testo per l’impossibilità di condensare qui giudizi:
Alla fine naturalmente delusione, ma nessuno scoramento. Ci si misura con un patrimonio di consensi e di riattivazione della dinamica partecipativa che – questi i messaggi prevalenti – il centrosinistra in Lombardia non sollevava da molti anni. Non tutti hanno remato, perché la coincidenza dell’election day ha tolto un po’ del peso della drammaticità in sé che aveva il voto lombardo. Ho letto molti commenti del dopo, sui media e in rete. Alcuni intelligenti e utili per le rettifiche di metodo. Alcuni saccenti e sterili, espressione di un elettorato da tempo sconfittista che tra deplorare e ringraziare non mette neanche un secondo per riflettere e cerca vecchie corde per suonare vecchia musica. Mediocri i media che – a parte veri e propri sgarbi del Corriere – si è rivelato poco interpretativo circa il senso e la portata di questa elezione. Troppa società degli interessi alla finestra. Qualcuno si è già pentito, ma non ha ancora il coraggio di dirlo.