Ambrosoli. Argomenti di strategia dello sviluppo (3 dicembre 2012)

Umberto Ambrosoli ha svolto oggi (lunedì 3 dicembre 2012) questo intervento in un incontro con amministratori, rappresentanti di associazioni e operatori economici.
 
 
 
Provo a fare qualche cenno al progetto che ho ritenuto di porre in essere accettando di candidarmi alla presidenza della Regione Lombardia.
Cercherò di sintonizzarmi con l’impostazione delineata in apertura dell’incontro, soprattutto in relazione al quesito di fondo. Nel progetto di rigenerazione istituzionale quale è il nesso immaginato tra adeguamento necessario della classe dirigente e riduzione ancor più necessaria del tasso di populismo che ha caratterizzato gli ultimi (e non solo gli ultimi) anni?
 
Non mi esprimo per cercare consensi, ma anzi per sottopormi a verifica riguardo a quel progetto che ha bisogno di validazioni e non solo di applausi (di cui pure comprendo il significato di “segnali di condivisione di una speranza” che leggo diffusamente nella Lombardia che sto percorrendo in lungo e in largo in questi giorni).
E’ evidente che con l’alternanza intervenuta alla guida del Comune di Milano (in cui non ha solo vinto, con Giuliano Pisapia, l’opposizione al centrodestra, ma il leader nazionale del centrodestra ha avuto le sue preferenze dimezzate rispetto alle elezioni precedenti) e poi con la drammatica sostituzione del quadro di governo messa in atto dal Presidente della Repubblica – pur lasciando ai partiti la responsabilità di legittimare le scelte in Parlamento, ma in uno schema di “unità nazionale” – il 2011 ha segnato in modo netto la fine di un ciclo. Un ciclo che va sotto il nome di “seconda Repubblica”.
E’ altrettanto evidente che il 2012 – che si sta per concludere – sia stato l’anno della transizione e della sperimentazione di modelli tesi a misurarsi e, se possibile, ad offrire qualche elemento di soluzione a cinque crisi contemporaneamente in atto:
  • la crisi di reputazione del Paese e del suo potere negoziale nella comunità internazionale;
  • la crisi di reputazione dei partiti (stagnante tra il 3 e il 4%) perché non più riconosciuti come mediatori credibili tra istituzioni e società;
  • la crisi del sistema regionale che – pur con diversità e anche con lodevoli eccezioni – ha rivelato un vulnus sia circa l’efficacia della democrazia sia circa la soglia minima accettabile di etica pubblica;
  • la crisi, naturalmente cornice, della condizione economico-finanziaria e soprattutto occupazionale con la creazione di contesti non superabili con la solita retorica di finti tavoli di mediazione;
  • la crisi culturale e civile in cui i cittadini stessi percepiscono il loro ruolo – singolo e associativo – attorno alle responsabilità verso il “bene comune”.
Forse la lista delle crisi potrebbe anche continuare, ma mi pare che ce ne sia già abbastanza per mettere molti nelle condizioni di rispondere alla famosa battuta di Kennedy non su ciò che lo Stato può fare per te ma su cosa tu puoi fare per lo Stato.
 
Penso, in via generale, che il 2012 non abbia dato ancora, e con robusti segnali, indirizzi di discontinuità su tutti i fronti accennati.
Non credo, infatti, che siamo autorizzati a parlare già di “terza Repubblica”.
E per dirla tutta non penso nemmeno che il solo esito elettorale nazionale sia, malgrado il probabile segno di discontinuità, un ingresso automatico in una variazione epocale di contesto.
Credo che per esempio il sistema delle regole sia ancora rimasto al palo. L’autoriforma dei partiti non c’è, la nuova legge elettorale non c’è, la riforma del bicameralismo non c’è, la riforma dei regolamenti parlamentari non c’è, eccetera.
Solo per prendere un tema che ha fato chiasso, ancora non sappiamo se i cittadini torneranno in possesso della scelta degli eletti oppure no. Non sappiamo se i partiti vorranno considerarsi pubblici e quindi sottomettersi a finanziamenti controllati dalle magistrature amministrative; oppure privati e allora sostenersi sostanzialmente con contribuzioni appunto private.
 
Dunque la “contesa” in cui siamo immersi è ancora nettamente una condizione di “laboratorio”. Il mio punto di partenza non è quello di riorganizzare il vertice di questa piramide, ma di lanciare segnali pesanti per la riorganizzazione dalla base.
Cioè per dare corpo, per rendere manifesto, per dare fisionomia a uno spirito civile in seno alla società che torni a fare, come dice la Costituzione, il baricentro della sovranità (si dovrebbe dire correttamente del “potere”) attorno al cittadino.
Per non rendere anche questo auspicio un sospiro retorico, ho posto al riguardo la condizione ineludibile circa la mia stessa assunzione di responsabilità. Sono stato criticato, mi si è dato dello spocchioso, qualcuno anche dell’arrogante, perché mi sono permesso di dire che primarie indette dai soli partiti – anzi da un pur ampio segmento di partiti contenuti in una coalizione potenzialmente anche più ampia – non potevano essere la cornice organizzativa e di garanzia.
Devo dire che anche nei partiti – forse per la lezione di consecutive sonore sconfitte – è in corso una trasformazione generazionale e una certa ripresa del buon senso. Perché alla fine si è compiuto un atto di coraggio e di rigenerazione accettando la creazione di un Patto civico con un comitato che prevede la presenza della politica (attraverso i sindaci variamente collocati nel centrosinistra in Lombardia) e la presenza di associazionismo civile e sociale (attraverso esponenti noti che rappresentano un vasto ambito di responsabilità dei cittadini organizzati spesso non inquadrati nei partiti e portatori di criteri diversi con cui considerare la stessa natura della “politica”).
 
Questa è la cornice simbolica e metodologica che ci accompagna alle primarie – da me, così, ben volute – e questo è anche un riferimento forte per la formazione degli eletti e per una possibile linea di disegno della futura responsabilità di governo.
Il passo non è da poco.
  • In questo passo c’è una opportunità per i partiti di svolgere una parte di quella autoriforma su cu il sistema nel suo complesso sembra attardarsi.
  • In questo passo c’è anche una opportunità per tanto civismo per non limarsi a “chiedere”, spesso solo a “invocare”, ma per costituirsi come valutatore di priorità nel servizio agli interessi generali.
E’ più che un programma. E’ un metodo della rigenerazione.
 
Vi sono poi le questioni che attengono agli altri aspetti delle crisi in corso. Non voglio tediarvi con programmi e dettagli. Ma non posso in questa sede non fare cenno a tre aspetti che considero pre-condizione del cambiamento e della postulazione di una ipotesi di “terza repubblica”.
 
Primo tema, la legalità.
Qualcuno mi dice di mettere in secondo piano la questione, perché in certi ambienti premia di più invocare parole d’ordine sulla crisi economica (poco importa che poi ad esse non sia attaccata una ricetta realistica per soluzioni cantierabili).
Ma, vedete, la caduta della Giunta Formigoni non è arrivata per l’assedio mediatico (come dice lui), per i casi tradizionali di corruzione, per il crack di segmenti del sistema ospedaliero, per la non esecuzione di progetti tanto promessi di opere pubbliche.
E’ arrivata perché si è scoperto che la ‘ndrangheta aveva messo il cappello in alcune stanze della giunta. Un segnale di evidente intollerabilità.
Punto e a capo agli occhi di un sistema Lombardia che sa da tempo che la mafia arriva dove ci sono soldi e ricchezza, ma che non ha fatto appieno i conti con le collusioni e le compiacenze di una parte della sua stessa classe dirigente con quella malavita e con i suoi metodi, qui apparentemente rispettabili.
Sta qui la gravità della faccenda. E non la si chiude con un rinvio a giudizio. La si apre con un caso di autocoscienza generale della società, delle scuole, delle famiglie, degli imprenditori, dei giovani. Quindi fissando qui una priorità programmatica.
 
Secondo tema: le dinamiche pubblico-privato.
Anche qui si vorrebbe misurare la purezza dei candidati sulla base di parole d’ordine che hanno radici in ideologie caduche. Io non ho niente, in senso pregiudiziale, contro le ideologie (intese come sistemi di valori). Soprattutto non ho niente contro l’uso – come riferimento generale di coerenza – di teorie economiche dello sviluppo e della gestione dell’efficienza.
Per questo non penso che una moderna società produttiva, fondata sull’attivazione di una cultura di impresa competitiva ma anche riconducibile a politiche solidali, debba rinunciare ai suoi presupposti per compiacere settori in cerca di applausi facili. Chiedo invece che su questa materia (che riguarda la sanità, l’educazione, la gestione di una parte importante di servizi pubblici) si possano riattivare principi regolatori e soprattutto sistemi di valutazione della corrispondenza dei criteri generali a presidio degli interessi generali che non chiudano un occhio un giorno si e un giorno no. Ma che siano :
  • parte di un indirizzo programmatico
  • parte di un’etica del governo che usa la valutazione anche per auto-correggersi
  • parte di un rapporto nuovo e complementare tra esecutivo e assemblea in cui le funzioni di controllo siano restituite a giustificazione della dignità stessa dell’istituzione.
E‘ nella cornice di questo tema che colloco anche una focale attenzione per la crisi economica e occupazionale che presenta in Lombardia segni opposti:
  • di tenuta negli ambiti in cui ha agito l’innovazione e l’internazionalizzazione;
  • di recessione laddove le condizioni degli investimenti hanno reagito male alla riduzione di competitività.
C’è un tema generale di riqualificazione del dialogo con il sistema bancario che richiede stabilità, progettazione e fiducia (e qualche rinnovamento di governance, non solo nel campo politico).
Ma c’è anche da fare i conti con le fonti di sostegno allo sviluppo su cui i soggetti privati hanno ridotto gli impegni e in cui le camice di forza della finanza pubblica hanno prodotto guai.
Credo che il nostro dovere sia quello di spiegare con forza che l’intelaiatura produttiva e il quadro di competenze tecnico-professionali a disposizione dei nostri territori in Lombardia fanno di un auspicabile ripresa degli investimenti uno straordinario ambito di effetti moltiplicatori. Ma ciò richiede solidità di governo e nessuna genuflessione alle lobbies, per selezionare e proporre anche gli ambiti in cui, appunto, la moltiplicazione si trasforma in vantaggio per tutti, a cominciare dai lavoratori che soffrono crisi locali senza sbocchi locali.
 
Terzo tema: quale contributo dalle regioni alla soluzione della conflittualità istituzionale come espressione ormai di risse nell’incapacità di risolvere i problemi.
Credo che ci sia qui – dopo quarant’anni di sviluppo di un modello istituzionale che generò sogni e speranze ma che ha anche prodotto diseconomie e disfunzioni – l’esigenza di un ripensamento circa il regionalismo.
Una campagna elettorale non ha propriamente le caratteristiche del laboratorio scientifico per favorire questa riflessione. Eppure essa attiva anche spunti a strappo che poi devono trovare sedi di analisi e di verifica.
Per cui lancio questo tema, nella consapevolezza che il conflitto di competenze che ha caratterizzato il rapporto con i Comuni da una parte, con lo Stato dall’altra e poca incidenza sui meccanismi decisionali europei in terza parte debba lasciare spazio ad una nuova stagione di ripensamento. In cui il sistema Milano-Lombardia ha – per la tradizione anche del suo sistema universitario e della sua capacità di ricerca – un compito importante di rigenerazione.
Non offro ricette. Offro l’impegno a considerare la priorità del tema nell’impostazione dei rapporti con le autonomie locali, con il sistema interregionale, con le relazioni con lo Stato e nel nostro ruolo con una Europa meno occupata dalla questione finanziaria e più generosa verso nuove prospettive del rilancio dei territori come centri di intelligenza culturale, imprenditoriale e di ampliamento dei mercati del lavoro che sono i tre fronti in cui la grande crisi può e deve essere battuta.
 
Vorrei concludere.
  • Sogno quindi una generazione nuova che si assuma responsabilità importanti avvertendo lo spirito di sacrificio – non il raggiungimento del potere fine a stesso – con cui questo tema va declinato.
  • Sogno un gruppo dirigente (uomini e donne in equilibrio) che progetti la sua formazione di servizio al cittadino in un quadro limpido e trasparente di etica pubblica.
  • Sogno una progettualità con le radici nel territorio che riporti la Regione a dare un contributo non egoistico alle cause di rinnovamento dell’Italia e dell’Europa.
Ho bisogno – con evidenza palmare – di tutti voi, per rendere queste aspirazioni contenuto di governo.
Sempre che i cittadini siano d’accordo e nelle due tornate – delle primarie e del confronto finale – riconoscano la novità di questa proposta.