Alberto Ronchey (8 marzo 2010)
Su Facebook (8 marzo)

Ho appreso poco fa, con molto rammarico, la notizia della scomparsa di Alberto Ronchey. Mi dispiace di non avere avuto occasione negli ultimi anni di frequentazione. Nel suo periodo di responsabilità del Ministero dei Beni Culturali con i due governi Amato e Ciampi, dal 1992 al 1994, ho avuto una costante interazione con lui, partecipando a viaggi, missioni ed eventi in cui le competenze allora assegnate alla Presidenza del Consiglio nell’ambito della promozione culturale e dell’immagine del Paese ebbero una autorevole partnership in Ronchey che aveva una visione “efficace” e non di pennacchio dell’azione pubblica (che produsse non a caso la “legge Ronchey”). Sorridemmo insieme ritrovandoci nella casa di Karen Blixen a Copenaghen, come luogo culturale “di punta” di un vertice dei ministri europei in quel paese, pensando che dovizia di patrimonio ha piuttosto l’Italia spesso sottovalutandolo, spesso maltrattandolo. Qualche volta mangiammo da “Mastino” a Fregene dell’ottimo pesce e ascoltando io da lui scintillanti ricordi professionali e politici. Inventò parole come “lottizzazione” o come “fattore K”. Era analitico, libero, laico. Giuliano Amato lo scelse come ministro perchè sapeva che in Italia c’era ancora tendenza propagandistica nella cultura e lui – in quella crisi – voleva lì uno come lui. Un po’ scozzese, senza padroni.