Al De Amicis a Milano ancora per capire il voto a Milano (sull’incontro del 23 giugno)
Abbasso i sondaggisti, viva Steve Jobs
Stefano Rolando
(Milano 24 giugno 2011) – Il Circolo De Amicis a Milano è tornato a riempirsi a oltre venti giorni dal voto del ballottaggio per parlare ancora di quel voto. Per interpretare ragioni e dinamiche elettorali. Per – come ha detto Mario Artali – uscire dalle frenesie del dibattito in rete e tentare riflessioni parlate e commentate, con gli assensi e i dissensi che de visu riescono più convincenti. Un segnale di tenuta del cosiddetto “terzo cerchio” che sta attorno al cambiamento di quadro politico nella città. Il primo cerchio essendo evidentemente all’interno di palazzo Marino, il secondo cerchio nei circuiti che tradizionalmente incanalano il voto e la partecipazione politica (i partiti) e al tempo stesso nei media che sono parte decisionale nel fissare l’agenda. Ma il terzo cerchio essendo un territorio sperimentale, collocato nella società, in quella parte della società che si è da tempo organizzata in senso civico guardando alle istituzioni come cosa propria, non fidandosi troppo dei partiti (per molti, cosa sempre meno “propria”) e non ripetendo a pappagallo le cose che girano sui media perché più orientata all’interpretazione che alla notizia. A risultati acquisiti Marco Vitale aveva avvertito che il miracolo non era successo per magia imprevista. Aveva segnalato che da almeno due anni moltissimi circoli informali, alcuni più strutturati, spesso di tipo interclassista, con aggregazioni larghe e poco ideologiche, a volta centrate su vicinanze professionali (per esempio il mondo della scuola, ma anche avvocati, professori universitari, imprenditori, eccetera), avevano preso l’abitudine di organizzare riunioni “serie”, non di mondanità, non di “meglio farsi vedere”, ma legate a relazioni preparate, ad analisi, a discussioni con valore aggiunto. Un laboratorio quasi a futura memoria. In attesa di avere effettivamente interlocutori istituzionali pronti a dire che quel valore aggiunto faceva parte del loro programma di ascolto funzionale al processo decisionale. Ciò che Giuliano Pisapia ha chiamato “la buona politica”. Altri la dicono come l’importanza per il buon governo di una complessità reale – quale è una grande città – di tornare a fasare meglio saperi e poteri.
Ora queste reti – che hanno dato un contributo molto importante al delta tra voto complessivo e voto strettamente incanalato dai partiti – segnando una stagione diversa della politica (che probabilmente sarà di lezione anche ad un centro-destra che voglia sviluppare la sua camminata nel deserto sbarazzandosi di leaderismi ingessanti, di fiducia nel solo potere, di idolatria dell’apparenza e dell’immagine), dovranno trovare un passo di rapporto con il quadro istituzionale che si va componendo. Ci vorrà un po’ di tempo e si capirà se – come ha detto il nuovo Sindaco all’atto di insediarsi – è vero che “il Comune non è una monade, non è un castello con i ponti levatoi alzati”.
Intanto la discussione sul voto ha reso di comune evidenza tre cose:
1. che la percezione della dinamica del voto ha avuto – per i più – un primo tempo dell’incredulità (“voto Pisapia ma la Moratti vincerà a mani basse”); un secondo tempo, nel ballottaggio, dell’inevitabile “testa a testa” (“si giocherà tutto all’americana nel fazzoletto di 5 o 10 mila voti”, dicevano esperti); un terzo tempo del convincimento a posteriori, nei più, di cicli esauriti e di fluttuazioni di opinioni nel sociale che potevano emergere soprattutto grazie a un outsider;
2. che il combinato disposto tra molti soldi e controllo sulle tv – che resta ancora a livello nazionale espresso nella formula “tot ascolti, tot voti” – è saltato nella dimensione urbana moderna, dove appunto la città fa da contenitore comunicativo a basso costo (piazze, luoghi, ambiti di lavoro, quartieri) secondo il principio di “vicinato” e secondo la crescita di ruolo della comunicazione in rete;
3. che la formula dell’investimento sulla capacità di “mantenere i propri, riconquistare gli astenuti” (lo ha detto Guido Martinotti) contiene una semplicità sapienziale che insegna molto alla politica italiana.
Qualche approfondimento si comincia a fare non solo sui cosiddetti flussi elettorali (presto detto, poi, il terzo polo è andato al ballottaggio per due terzi alla Moratti e per un terzo a Pisapia; la Moratti ha ceduto a Pisapia 11 mila elettori al ballottaggio; nel rapporto con l’astensionismo Moratti ne ha richiamati 20 mila Pisapia 40 mila; a Pisapia è andato il 10% del voto leghista dato al primo turno; al secondo turno hanno votato il 63% delle donne aventi diritto e il 72% degli uomini aventi diritto, ma attenzione le donne sono mediamente più anziane e questo spiega la differenza); ma anche su l’incidenza del “genere organizzato” nel cambiamento del voto. Qui viene sottolineato il legame tra l’evento di “Se non ora quando” (13 febbraio) delle donne in rivolta contro la mercificazione trasferita da Berlusconi dal privato alla politica e la partecipazione femminile incoraggiata e accolta da Pisapia e poi rappresentata nel risultato finale della composizione paritetica della giunta; con il centro destra che, pur avendo leader una donna, una sola altra donna è riuscita a portare in Consiglio comunale. Quanto ai giovani, dicono gli esperti che – direttamente su Pisapia e riversati da 5 stelle – al ballottaggio si sono fatti sonoramente sentire.
Un po’ a denti stretti (in una serata centrata su analisti e sondaggisti) si è comunque vista la fragilità dei sistemi previsionali. Ed è stato paragonato il contesto di Milano a quello dell’ invenzione del futuro di Steve Jobs, il fondatore di Apple (e insieme di Next, Pixar e ora anche proprietario di parte Disney). Il non dar per scontato l’invalso mediatico, il contrastare il convincimento costruito su stereotipi. E’ una bella sfida, tirare in ballo questo profilo di innovatori. Con qualche rischio. Ma è forse anche una provocazione giusta che guarda alla necessità di cercare ora culture politiche appunto innovative per continuare a raccontare questa storia. Franco d’Alfonso, non a caso, a chiuso la discussione sul voto parlando di “eredità immediate”. Prima di fare nuovi bilanci o nuovi PGT la squadra Pisapia cerca nel senso di un mandato elettorale di discontinuità un’identità chiaramente comunicabile.
(per Il Riformista )