A Torino l’omaggio a Marco Pannella. Un testo (19 ottobre)

Omaggio a Marco Pannella
Circolo della Stampa – Torino, 19 ottobre 2010
Promosso dal Circolo Pannunzio.
 
 
Stefano Rolando
 
Valter Vecellio mi chiede di intervenire per spiegare un’impresa.
Lui dice “quella di indurre Marco” a produrre – cioè co-produrre ma senza il suo racconto non vi sarebbe stata alcuna produzione – un libro su di sé. Spiegarlo qui in questo magnifico clima di festa civile oggi a Torino  e di racconto corale attorno a tanti frammenti che legano persone, storie e una città.
Molti più di me hanno ragioni per parlare oggi. E quindi con il rischio di finire fuori orario, per ragioni di ineluttabile treno da riprendere per Milano, scrivo in breve le cose che vorrei dire.
Il libro – noto ai più tra i presenti – si intitola Le nostre storie sono i nostri orti ma anche i nostri ghetti, è uscito a fine 2009, con Bompiani, ed ha quindi anticipato il compleanno. Con il quale (compleanno) ho convissuto “prima”, dunque prefigurando l’evento (forse anche in un certo senso l’evento di oggi) perché il riconoscimento a Marco Pannella è parte di quel libro,  nel senso che è parte di un ciclo di una politica di qualità che rende le persone riconoscibili per la loro generosità personale e civile meritevoli di quel riconoscimento.
Qui, oggi, a tutti è chiaro questo senso. Io lo immaginavo un anno e mezzo prima, considerando un peccato che non si arrivasse a quella data con uno strumento di considerazioni organico, magari non esaustivo ma in un certo senso analitico.
Non un libro di fatti (la storia degli eventi), non un libro di fatti personali.
Ma un rapporto nel tempo tra l’evoluzione di un pensiero e il cambiamento della società e delle istituzioni. Dall’età della ricostruzione e della speranza all’età della crisi e della desertificazione che stiamo attraversando.
Scrivo perché faccio il professore universitario. Ma ho deciso da qualche anno di accompagnare a un filone saggistico sulle mie aree disciplinari un altro filone di scrittura più personale che cerca di lavorare contro la censura della memoria identitaria nel nostro paese. Mi è stato di illuminante stimolo un bel libro della figlia di Altiero Spinelli, Barbara Spinelli, di qualche anno fa che si chiamava “Il sonno della memoria”. Una critica delle ragioni che rendono diffuso questo fenomeno e grave la malattia conseguente che ha colpito molti politici e molti uomini di cultura.
L’attenzione a Marco Pannella e al suo percorso nel tempo della storia dell’Italia repubblicana era quasi naturale per me non militante radicale ma di esperienze condotte da giovane tra i repubblicani più avanti negli anni come socialista, da tempo fuori dai partiti ma sempre gemello della Costituzione (inizio ’48) e non disposto a farmi spezzare il percorso sessantennale della nostra storia a seconda delle mode.
Pannella non lo spezza, lo vive e lo rivive sempre integralmente. Ricorda, rimemora, connette, collega. E’ l’esempio opposto del sonno della memoria.
Questa una prima ragione di attenzione.
Una seconda ragione è stata l’oggettiva curiosità per il senso della “lunga durata” nella attuale realtà politica italiana. Lunga durata di chi è in trincera reale, ha cose da dire e da fare, partecipa alla battaglia. Cosa che riguarda pochi di quella generazione. Penso a Giorgio Napolitano, penso a Giulio Andreotti, penso a Marco Pannella. Nel libro si ragiona attorno alla “lunga durata”. La lettura di Marco è interessante perché non recede nel personalismo. Cerca le ragioni nella vicenda di un pensiero e di una politica.
La terza ragione di attenzione – lo scrivo nell’introduzione – riguarda, in un’epoca in cui il format della politica è imposto (da Berlusconi ma in realtà accettato dai più) come format televisivo, di spot, di annuncio, di sintesi faziosa e rissosa, di rifiuto del confronto (magari aspro) ma di contenuto, riguarda appunto l’idea teatrale della politica di Marco. Nel senso del teatro antico, del teatro greco, della “recitazione”, magari anche con il sorriso o lo sberleffo, attorno ad una tragedia, che è la tragedia della storia. E comunque “recitazione” come racconto complesso.
Marco ha detto di sé introducendosi – perché avrebbe dovuto parlare per ultimo, secondo programma, ma non era pensabile che rispettasse il programma – che si vive senza meriti. Quel libro, se mai ha un merito, è di dimostrare che questa opinione non è veritiera. Un breve passo a pagina 162 lo spiega: Chiedo: Ma può un politico non essere politico?E Pannella risponde :No, ma deve “creare” politica. Deve cioè creare ciò che era impensabile. Che cosa abbiamo fatto d’ altro se non dare dignità politica a cose che non l’avevano?.
Bastano queste due righe a fare sintesi attorno al merito (è stato evocato Baget Bozzo per ricordarlo) che attorno alla formazione, più volte, di maggioranze sociali è stata forzata un’agenda che pareva ogni volta blindata della politica italiana.
Potrei continuare a lungo attorno alle ragioni di una conversazione durata più di venti ore e conclusasi con “malgrè moi, si stampi”. Sì,  una concessione forse inusuale di un combattente abituato a lottare sulla carta dei quotidiani, sui frammento di video e di radio, ma indocile a racchiudere la vita in un manufatto rilegato, quasi un prodotto d’archivio. Credo che questo libro – e non per mio merito – non sia un prodotto d’archivio. Ne ho avuto testimonianze continue da un anno soprattutto di moltissimi giovani che mi hanno ringraziato. I giovani radicali per avere ritrovato un racconto identitario che li riguarda profondamente. I meno giovani per avere finalmente il protagonismo della storia collettiva, condivisa, comune, grazie alla testimonianza di un leader che riesce – contro la diceria del suo egocentrismo vanitoso – a parlare di quella storia più che di sé. Gli altri, i non radicali, a ritrovare nella formazione della loro opinione quel sale del pensiero civile che senza Pannella sarebbe stato un impoverimento della nostra vicenda.
Sono rimaste fuori dalla porta molte domande. E quindi molte risposte. La questione della “terza via” nella politica italiana, quella di una forza centrale di tipo liberal-democratico, al tempo collocabile tra comunisti e democristiani, oggi facilmente identificabile in un territorio scoperto, non poteva formarsi per destino o per incapacità? Che meriti e che responsabilità ha Marco Pannella rispetto alla storia tormentata di questa formazione?
Forse questa è la questione – che pure nel libro c’è un poco – su cui avrei voluto più approfondire. Ma aspetto i 90 anni di Marco Pannella per tentare un “secondo tempo” di quel racconto conoscendo ormai bene tutti i trucchi per arrivare a risultato, malgrado il garbato convincimento di Marco che non ci saremmo mai arrivati.