17 marzo, l’Italia c’è (un po’ meno il sistema di impresa) – Finanza&Mercati 17marzo2011
Finanza&Mercati, 17 marzo 2011
17 marzo: malgrado tutto, l’Italia oggi è all’appuntamento
(il sistema di impresa sta ai margini, al made in Italy interessa poco l’Italy?)
Stefano Rolando
Tra le analisi finanziarie, le cifre e le notizie di crisi e sviluppo che i mercati producono a zig zag da tempo, chiediamo oggi uno spazio anomalo per una riflessione su questo 17 marzo, alla fine celebrato come festività nazionale per ricordare agli italiani che patria e paese hanno storie millenarie ma stato e nazione datano, con oggi, 150 anni. Facendo dell’Italia - terre di storie antiche – una nazione giovane, al pari degli stati del nuovo mondo come gli USA o il Brasile. La riflessione è rivolta in larga parte agli operatori economici. Che sono apparsi in sordina nel prendere parte al dibattito che comunque si è sviluppato. Un segno di una certa decadenza culturale del nostro sistema di impresa che – causa la non crescita, la perdita di ruolo di molte grandi aziende, l’appannamento di molti soggetti della rappresentanza associativa – ha ritenuto di stare ai margini della discussione sulla vitalità o meno delle radici istituzionali (ma anche su quelle socio-economiche e su quelle socio-antropologiche) di quel paese che per le nostre aziende è ben più che una location. E’ parte del brand di ciascuna di esse, è connotazione di creatività nella produzione e nel commercio, è memoria di capacità e di qualità professionale, è mercato sensibile e generoso che assicura ancora una soglia alta all’offerta del suo sistema produttivo. Questo nesso è stato poco messo in evidenza. Lasciando che politica e media scegliessero il racconto storico – inevitabile scenario – per aiutare il paese a capire se Risorgimento, Resistenza, Repubblica (le tre R dell’architettura del 150°) sono parte di un vissuto condiviso oppure materiali d’archivio, al più ricordi di scuola. La stessa politica italiana ha avuto prudenza, molta prudenza (mezzo governo si è speso per l’evento, l’altro mezzo no; mezza opposizione ha puntato sulla storia, l’altra mezza – come ormai fa spesso – segnala di vivere con la memoria tagliata) a fronte dello stimolo alto, costante, a volte anche sferzante che due presidenti della Repubblica – Ciampi e Napolitano – hanno lanciato a istituzioni e soggetti sociali e culturali per onorare l’evento. Interpretando l’inevitabilità della missione principale che la Costituzione assegna al ruolo: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (art. 87, primo comma).
Se politica e impresa non hanno messo il piede sull’acceleratore si sarebbe potuto pensare che i media – che per lo più a loro rispondono – avrebbero ovattato l’evento. Lasciando alla fine le sole scuole italiane, grazie all’eroismo civico di certi insegnanti, mettersi al lavoro per una necessaria rielaborazione identitaria. Ciò che in effetti la scuola ha fatto e continuerà a fare. Ma i media invece hanno dato voce anche ad altro. Allo spettacolo, con guizzi creativi straordinariamente accolti dal pubblico (si pensi al film di Mario Martone Noi credevamo). Alla saggistica, che ha offerto uno scaffale di rivisitazioni ampio e in alcuni casi coraggioso (laddove gli editori sono sospettati di annusare i dattiloscritti più con l’approccio del ragioniere che dell’intellettuale). E al bisogno, in generale, di quella grande mescolanza di culture,etnie, linguaggi, progetti e speranze che chiamiamo italiani di ritrovare un punto fermo, una radice, in mezzo al tumulto di questi anni. In cui la demografia ci ha cambiato la società obbligandoci anche a fare i conti con altre storie, tra cui quella dei 40 milioni di emigrati italiani (che hanno formato dal 1861 al 1973 una immensa comunità italica nel mondo). Per misteriose (ma forse non tanto) ragioni la maggioranza degli italiani ha voluto e condiviso questa festività (oltre al 90% in vari sondaggi), lasciando leghisti, neoborbonici, neopapalini, separatisti di varia natura, al loro diritto di dissentire, diritto generalmente ospitato dai media e dalla rete, ma in una condizione così minoritaria che dovrebbe impensierire e far riflettere alcuni leader intelligenti che la stessa Lega ha fatto crescere in questi anni. C’è tempo ancora in questo 2011 per fare emergere più analisi e più partecipazione, a cominciare dalle nostre imprese. Anche quelle piccole e medie, ossatura vitale dell’Italia che tiene.
stefano.rolando@iulm.it